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Trump parla, scontri con la polizia a San Diego

Tentata irruzione durante il discorso del tycoon: 36 fermi. L'ex rivale Rubio: sono con lui

Trump parla, scontri con la polizia a San Diego

Più consensi guadagna, più cresce la protesta per fermarlo. E ora che ha ottenuto ufficialmente la nomination per correre alla Casa Bianca, Donald Trump è finito ieri al centro di una delle peggiori contestazioni inscenate finora. Circa mille persone hanno manifestato a San Diego, in California, fuori dal Convention Center in cui il candidato repubblicano stava tenendo il suo discorso. La protesta ha portato ad almeno 36 fermi.

I dimostranti scandivano slogan e mostravano cartelli, bandiere americane e messicane, per contestare le posizioni sull'immigrazione del magnate nella città considerata binazionale, poiché molte persone che vivono e lavorano su lati diversi della frontiera. A San Diego, un terzo della popolazione è latinoamerican e ogni giorno il passaggio di confine di San Ysidro, che collega la città a Tijuana, è attraversato da circa 300mila persone che si spostano legalmente tra i due Paesi. La situazione è degenerata quando un gruppo di manifestanti anti-Trump ha anche scavalcato barriere e lanciato bottiglie dando il via a scontri con la polizia. La tempistica è significativa, perché avvenuta alla vigilia delle primarie che in California si svolgeranno il 7 giugno siain campo democratico che in campo repubblicano. Ormai però Trump non ha più rivali all'interno del suo partito.

E intanto ieri il tycoon ha incassato anche l'endorsement di Marco Rubio, il suo rivale in campo repubblicano costretto a interrompere la corsa dopo i successi di Trump. All'inizio lo aveva definito un «pericoloso truffatore», ma ora Rubio dice chiaramente di volere che la Casa Bianca torni, ad ogni costo, in mano dei repubblicani. «Voglio essere d'aiuto non di intralcio, perché non voglio che Hillary Clinton diventi presidente», ha detto il senatore della Florida su cui avevano puntato i vertici del partito repubblicano, ma che, come gli altri candidati, è stato sbaragliato dall'ascesa del miliardario newyorkese. Ora l'ex pupillo di Jeb Bush - un'altra, ed ancora più illustre vittima dell'uragano Trump - si dice, in un'intervista che la Cnn manderà in onda domani, «onorato di fare qualcosa in favore della causa», cioè la vittoria repubblicana alla Casa Bianca, pur riconoscendo le profonde differenze politiche con Trump. «Ho passato 11 mesi a parlare di queste differenze, credo che siano chiare», ha detto.

Eppure non sarebbe tutta rose e fiori la campagna di Trump per aggiudicarsi la Casa Bianca. Secondo il New York Times la confusione regna sovrana e ci sarebbero tensioni all'interno della macchina elettorale. Alcuni membri dello staff sospettano addirittura che ci siano microspie nei loro uffici. La confusione si avverte anche fra i possibili finanziatori della campagna, ai quali non vengono date indicazioni precise su come contribuire finanziariamente e in quale super Pac, i fondi di finanziamento, investire.

Anche se ha assicurato pubblicamente che avrebbe adottato uno stile più presidenziale, Trump - scrive il Nyt - continua a mostrare i limiti del suo stile manageriale e vuole essere capo di se stesso.

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