Cronache

"Tua moglie è una scimmia". La difende e viene ucciso

Nigeriano scampato a Boko Haram e giunto in Italia su un barcone massacrato da un ultrà della Fermana

Emmanuel Chidi Namdi
Emmanuel Chidi Namdi

Era riuscito a salvarsi dalla furia omicida dei terroristi di Boko Haram, fuggendo in Italia. Ma nulla ha potuto contro la violenza cieca e ignorante di un nostro connazionale che lo ha picchiato selvaggiamente e ucciso soltanto perché di colore.

Emmanuel Chidi Namdi, nigeriano di 36 anni sta passeggiando per le vie di Fermo, dove era ospite del seminario arcivescovile in attesa che venisse esaminata la sua richiesta di asilo in Italia con Chimiary, la sua compagna. A un certo punto un uomo si avvicina alla coppia, li insulta pesantemente. Chiama «scimmia» la donna, la spintona e continua ad accanirsi sui due. Emmanuel non ci sta, reagisce alle provocazioni e cerca di mandare via l'uomo che invece, impazzito, sradica un palo della segnaletica e lo usa come spranga contro il nigeriano. Lo colpisce più volte, con una violenza terribile, lo getta a terra e continua a infierire su di lui, lasciandolo morente sul selciato. Subito soccorso, dopo una giornata di agonia in ospedale è morto nella serata di ieri. L'assassino è un 35enne della zona, molto conosciuto in paese perché ultra della locale squadra di calcio, la Fermana. Già in passato era stato protagonista di violenze ed era stato sottoposto a Daspo, il divieto di accesso alle manifestazione sportive. È stato denunciato a piede libero ma nelle prossime ore è probabile il suo arresto anche se secondo la sua ricostruzione, il responsabile della rissa sarebbe stato il nigeriano.

Una vicenda assurda, che ha sconvolto la locale comunità, ancor di più per la storia personale della coppia. In Nigeria erano perseguitati perché cristiani e hanno rischiato di morire per mano della bestie estremiste di Boko Haram. Quando i terroristi hanno fatto esplodere una chiesa, uccidendo anche i genitori della coppia e la loro figlioletta di due anni, hanno deciso di fuggire, arrivando tra mille difficoltà in Libia. In Nordafrica la giovane, che era in stato di gravidanza, è stata picchiata, tanto da perdere il figlio durante la drammatica traversata a bordo di un barcone. Una volta arrivati in Italia, otto mesi fa, hanno trovato ospitalità a Fermo, presso la comunità Capodarco, nel seminario arcivescovile, gestita da monsignor Vinicio Albanesi. A gennaio, nonostante i due non avessero ancora i documenti in regola, il prelato li ha uniti in matrimonio coronando il loro sogno d'amore. Dopo l'incubo del terrorismo, la paura delle persecuzioni, un viaggio della speranza e tanto dolore, credevano che il loro destino sarebbe cambiato. Secondo i legali che seguivano le loro pratiche c'erano ottime probabilità che le loro richieste d'asilo venissero accolte. Mai si sarebbero immaginati di trovarsi di fronte a un'altra bestia, questa volta italiana, mosso non dall'odio religioso e da folli ideali jihadisti ma «solo» dalla bieca ignoranza razzista.

«Una provocazione gratuita - ha detto monsignor Albanesi - ci costituiremo parte civile, nella veste di realtà a cui i due ragazzi sono stati affidati». Secondo il prelato ci sarebbe una connessione tra la tragica aggressione e i quattro attentati ai danni di altrettante chiese di Fermo colpite da alcune bombe rudimentali. Nel mirino ci sarebbe proprio l'accoglienza ai migranti. Nella struttura di don Albanesi, che ieri sera ha ricevuto la telefonata del premier Matteo Renzi, sono ospitati 124 profughi. Un affronto per le bestie razziste di casa di nostra. La città si è stretta intorno alla copmunità e nella serata di ieri è stata organizzata una fiaccolata di suffragio.

Oggi a Fermo, riunione straordinaria del comitato per l'ordine e la sicurezza presieduto dal ministro dell'Interno Angelino Alfano.

Commenti