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Tulliani resta in cella a Dubai Ma si rischia un Battisti bis

Arresto convalidato: il cognato di Fini resterà in cella per due mesi, in attesa della decisione sul rimpatrio

Tulliani resta in cella a Dubai Ma si rischia un Battisti bis

Addio latitanza dorata tra i grattacieli a cinque stelle di Dubai, addio auto di lusso con autista e orologi preziosi. Per i prossimi due mesi Giancarlo Tulliani rimarrà chiuso in un carcere degli Emirati. Le autorità del paese della Penisola araba, infatti, hanno convalidato per sessanta giorni l'arresto del cognato di Gianfranco Fini colpito da un mandato di cattura internazionale spiccato lo scorso marzo in seguito ad un'ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Procura di Roma per l'accusa di riciclaggio dei soldi del re delle slot machine Francesco Corallo, l'imprenditore che tra l'altro ha messo a disposizione della famiglia d'adozione di Fini il denaro con cui è stata acquistata la casa di Montecarlo.

I magistrati lo vorrebbero riportare in Italia, e stanno lavorando per affrettare il trasferimento, ma il rischio di un secondo caso Battisti è alto perché la questione gira tutta intorno ad un trattato di estradizione tra Italia e Emirati Arabi Uniti che ancora non è stato ratificato e quindi le leve da attivare sono molteplici, innanzitutto a livello e politico e diplomatico. È quasi un anno che Tulliani viveva a Dubai tra gli agi e alla luce del sole, alla faccia dei pm che indagano sui suoi opachi rapporti d'affari con Corallo, sicuro al punto da andare lui stesso dalla polizia, in aeroporto dove era andato ad accompagnare la compagna in procinto di partire per Roma, a lamentarsi perché un paio di giornalisti lo seguivano. Ma giovedì scorso qualcosa è andato diversamente da come si aspettava, gli agenti di Dubai si sono resi conto di avere davanti un ricercato internazionale e non lo hanno più lasciato andar via. Tradito da un eccesso di arroganza, il cognato di Fini è stato trattenuto in aeroporto fino a ieri, quando è stato convalidato l'arresto. Per due mesi, appunto, in attesa che arrivi dall'Italia la richiesta di estradizione con allegati gli atti del procedimento penale. «Poiché in un caso recente l'estradizione verso l'Italia è stata negata, credo che difficilmente Tulliani riceverà un trattamento diverso», sostiene l'avvocato Nicola Madia. Il riferimento è alla latitanza di Amedeo Matacena, l'ex deputato di Forza Italia condannato per concorso esterno in associazione mafiosa in fuga nella città degli Emirati da più di tre anni, per il quale è stata respinta l'estradizione nonostante il ministro Andrea Orlando nel settembre del 2015 sia volato ad Abu Dhabi per firmare un accordo che però poi non è stato mai ratificato. Adesso per sbloccare la vicenda Tulliani e scongiurare un Battisti-bis si apre la partita politica, da una parte sul fronte diplomatico con il governo che ha tutto l'interesse a spingere sull'acceleratore, dall'altra sul fronte parlamentare. Anche se i tempi potrebbero essere piuttosto lunghi. Il trattato deve prima essere modificato perché c'è un problema di reciprocità di cui tenere conto, dal momento che negli Emirati ci sono reati per i quali è prevista la pena di morte e l'Italia non può consentire di estradare un cittadino degli Emirati a rischio pena capitale. A loro volta gli Emirati non prevedono per esempio il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e nulla che vagamente gli somigli, motivo per il quale è stata respinta l'estradizione di Matacena. Dopo la correzione, necessaria per tenere conto di una direttiva Ue sulla pena di morte, il trattato dovrebbe tornare in consiglio dei ministri, essere trasformato in un disegno di legge e mandato alle Camere per essere ratificato.

Tenendo conto di tutti questi passaggi e dei tempi della politica, Tulliani può ben sperare di tornare libero alla scadenza dei due mesi.

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