Politica

Il turista malato scrive al ladro «Questo era l'ultimo viaggio»

La lettera di un americano derubato a Venezia al suo borseggiatore: «Ti perdono, ma tu prova a cambiare»

Andrea Cuomo

Com'è triste Venezia.

Com'è triste Venezia se è il teatro di quello che forse è il tuo ultimo viaggio e tu sogni di scrivere con solenne malinconia le pagine conclusive del romanzo della tua vita e ti ritrovi invece a compilare con il triste lessico della burocrazia una denuncia per borseggio in un posto di polizia italiano. E poi a scrivere con l'inchiostro rimasto a chi ti ha fottuto l'ultimo momento di gioia una lettera che è un messaggio in una bottiglia che probabilmente resterà a galleggiare nel nulla.

Michael Veley è un americano ammalato di cancro. Allo stadio terminale. Decide di spendere le ultime energie, l'ultimo lampo di vitalità per fare un viaggio con sua moglie. E sceglie come tanti stranieri l'incanto di Venezia, così magnifica, così letteraria, così grandiosamente decadente. Ma Michael in laguna diventa la vittima fin troppo inerme delle bande di borseggiatori che come moschini aleggiano attorno ai turisti che scendono dai vaporetti, storditi dal mal di canale, dalla bellezza, dal caldo. Nel caso di Michael, anche dalla malattia. I ladri gli tolgono tutto: i soldi, i documenti, la carta di credito, quell'ultimo sorriso. E lui, dopo aver sporto denuncia al posto interforze di piazza San Marco, decide di scrivere una lettera aperta ai ladri.

«Alla persona che ha rubato il mio portafogli - si legge nel messaggio scritto a mano, in corsivo, in un semplice inglese -. So che probabilmente non leggerai questo messaggio e che comunque non ti interesserebbe. Siamo arrivati nella tua splendida città il 14 luglio alle 14 con il vaporetto numero 1. E sono diventato la tua prossima vittima. Questo è il mio ultimo viaggio con mia moglie. Sto morendo di cancro. Mi hai lasciato senza soldi e senza carta di credito. Immagina solo per un attimo quello che hai causato alla tua vittima». Più un accorato sfogo che una richiesta di restituzione del bottino. E infatti il finale è quasi spirituale: «Ho pregato per perdonarti e prego per te affinché tu ti allontani da questo peccato che ferisce le persone innocenti. Ti perdono».

Michael sa benissimo che le speranze che il suo sogno sporcato dalla miseria e dalla prepotenza possa riprendere da dove si è interrotto sono pochissime. Lui forse avrà pensato, con ingenuità tutta americana, che un messaggio del genere potesse davvero toccare il cuore del suo borseggiatore. Ma qualcuno avrà prontamente provveduto a spiegargli che i delinquenti che lavorano a Venezia non sono i ladri gentiluomini del cinema, con un codice d'onore che impedisce loro di prendersela con i più deboli. Si tratta di gente senza scrupoli e senza anima, che arriva a Venezia da tutte le città d'Italia, che vive il crimine come un lavoro seriale, da compiere in maniera disumana quasi in una catena di montaggio. Bande organizzate che sanno come e quando muoversi, che conoscono uno per uno gli esponenti delle forze dell'ordine anche se sono in borghese, che sanno chi attaccare minimizzando i rischi, che non esitano a utilizzare minorenni per confondere le acque, per distrarre, per sembrare innocue famigliole in gita. Animali rapaci ai quali un messaggio del genere di quello scritto da Michael non scuce un baffo, anche ammettendo che ne vengano a conoscenza.

Poi magari ci sarà un lieto fine, che sarebbe comunque agrodolce.

Ma l'Italia, purtroppo per Michael, ci ha insegnato a non credere troppo alle favole.

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