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Tutta la verità sulla flat tax: non ci sono più soldi per farla

È tardi per introdurla ora: per bilanciare il minor gettito andrebbe rivisto tutto il sistema di detrazioni

Tutta la verità sulla flat tax: non ci sono più  soldi per farla

Spendere un centinaio di miliardi nel 2020 con clausole di salvaguardia sull'Iva per 23 miliardi e altri 16 miliardi stanziati per quota 100 e reddito di cittadinanza appare al momento una proposta folle. Eppure Matteo Salvini e la Lega si sono intestarditi sulla flat tax che, essendo parte integrante del programma di centrodestra, deve essere in qualche modo recuperata. Come il Giornale ha scritto sin dagli esordi del governo giallo-verde questo traguardo simbolico avrebbe dovuto essere conseguito sin dall'inizio. Ora è troppo tardi perché la sua realizzazione senza adeguate coperture metterebbe a rischio la finanza pubblica.

Il motivo è semplice da spiegare se partiamo dalla situazione fotografata dai 730 del 2017. Il dato di fondo è uno: i redditi sopra i 35mila euro lordi, pari all'11,28% degli oltre 40 milioni di contribuenti totali, pagano il 52,5% di tutta l'Irpef. Ovviamente quest'analisi, incorpora l'attuale sistema di sconti fiscali che include le detrazioni per i familiari a carico, per le spese sanitarie e, soprattutto, il bonus da 80 euro di Matteo Renzi che il sottosegretario alle Infrastrutture, Armando Siri, ha elencato tra le tax expenditure che si potrebbero sfondare.

Ora se guardiamo all'Irpef netta del 2016 e pensiamo alla proposta leghista denominata «fase 1», cioè una flat tax al 15% per i reddito fino a 50mila euro lordi (con un sistema di detrazioni per familiari a carico fino ai 35 mila euro) due dati oggettivi vengono subito all'occhio. Il primo: se si guarda all'imposta netta 2016 (cioè l'Irpef pagata dopo detrazioni e deduzioni) si scopre che fino a 26mila euro l'aliquota media massima è del 13,5% proprio per effetto dei 10 miliardi del bonus Renzi che «agiscono» proprio fino a quella soglia. Dunque fino a quel limite non converrebbe toccare nulla per non aumentare seppur di poco le tasse ai circa 30 milioni di contribuenti che si trovano nel range 0-26mila.

Una flat tax al 15% nella fascia di reddito 26.000-50.000 euro costerebbe, invece, 40,5 miliardi di minori entrate con un beneficio di circa 5mila euro annui per circa 8,1 milioni di contribuenti. Se, però, si riducessero gli sconti fiscali sopra i 35mila euro, il rischio è che l'effetto del benefit diventi trascurabile per chi guadagna fino a 50 mila euro e che attualmente è soggetto a un'aliquota media del 19-21 per cento.

Non minori complessità presenta anche la «fase 2», cioè l'applicazione di una flat tax al 15% fino a 80mila euro annui e del 20% sopra tale soglia. In questo caso circa 1,4 milioni di contribuenti in più beneficerebbero di un'aliquota agevolata i cui effetti sarebbero sostanziosi (ora pagano tra il 23 e il 26,5%). La flat tax tout court costerebbe altri 10,23 miliardi per costoro con un risparmio pro capite di 7.400 euro. Ovviamente, un taglio degli sconti fiscali lo farebbe diminuire rendendolo esiguo.

Altri 11 miliardi sarebbero necessari per far pagare solo il 20% di Irpef ai 780mila contribuenti che dichiarano più di 80mila euro annui. Lo sconto pro capite sarebbe di 14mila euro e anche con una revisione di deduzioni e detrazioni sarebbe ragguardevole. Indipendentemente dalla validità della misura, la platea ridotta (l'1,9% del totale dei contribuenti) circoscrive gli effetti positivi della diminuzione della pressione fiscale.

A conti fatti si spenderebbero 63 miliardi (cui andrebbero sommati altri sconti per non peggiorare la situazione di molti contribuenti) senza cambiare di molto la situazione.

Ecco perché la rivoluzione fiscale, per ora, può attendere.

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