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Tutti i sindacati uniti per l'Ilva: primo sciopero contro Di Maio

Proclamato per l'11 settembre in ogni stabilimento. E davanti al ministero dello Sviluppo ci sarà un sit-in

Tutti i sindacati uniti per l'Ilva: primo sciopero contro Di Maio

Primo sciopero all'Ilva contro Di Maio. A due settimane dalla fine della gestione commissariale e a meno di un mese dall'azzeramento della cassa a disposizione del gruppo siderurgico per pagare gli stipendi, e far girare le macchine, i sindacati di Cgil, Cisl, Uil e Usb hanno proclamato per l'11 settembre uno sciopero di tutti gli stabilimenti. Si è rotta dunque ufficialmente, dopo tre mesi, la tregua tra le parti sociali e il nuovo governo sul dossier tarantino. Alla base della decisione, una trattativa in stallo e la mancata convocazione da parte del governo: «Attendiamo notizie dal 6 agosto», hanno spiegato ieri Fim-Cisl, Fiom-Cgil Uil e Usb. Sul tavolo c'è la «ripresa del negoziato e la valutazione di legittimità da parte del ministero della gara per l'aggiudicazione del gruppo Ilva», si legge nella lettera dei sindacati al premier Giuseppe Conte e al ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio.

Una missiva più che convincente visto che, a poche ore dall'annuncio, Di Maio ha tentato di correre ai ripari convocando le parti per il 5 settembre. Un passo accolto con scetticismo dai sindacati che, per voce del segretario della Cisl Marco Bentivogli, hanno tenuto il punto: «Al momento non ci sono le condizioni per revocare l'agitazione». Al tavolo parteciperanno la società Am Investco (guidata da Arcelor Mittal), i commissari straordinari Ilva e, oltre a tutti i segretari generali e i sindacati metalmeccanici, i rappresentati dei lavoratori chimici e del trasporto interessati alla vicenda per l'indotto. Convocata anche Federmanager. Davvero l'ultima chiamata per le parti in causa a ridosso della chiusura della gestione commissariale e con molte ombre sul destino della siderurgia italiana.

Di Maio, dopo aver ricevuto il parere dell'Avvocatura dello Stato secretato fino al 7 settembre - ha già detto che la gara per la cessione di Ilva ad ArcelorMittal condotta dal precedente governo è illegittima, ma non può essere annullata se non si dimostra il vizio dell'interesse pubblico. Resta dunque da capire cosa accadrà la prossima settimana: Di Maio potrebbe chiudere con Arcelor un accordo migliorativo sul piano occupazionale (l'offerta economica è di 4,3 miliardi tra investimenti e acquisto), con i sindacati sullo sfondo che chiedono «zero esuberi» e l'acquirente che non sembra smuoversi dall'iniziale proposta: 10.500 assunzioni, 10.100 subito e 400 entro il 2023. In alternativa, può rompere la trattativa annullando la gara se si facesse avanti un'altra società interessata; o annunciare una nazionalizzazione (ipotesi considerata però remota). Resta il fatto che (week end compreso) il ministro del Lavoro ha meno di una settimana per decidere del destino dei lavoratori Ilva. Secondo i numeri aggiornati, oggi i dipendenti totali del gruppo Ilva sono 13.522, di cui 2.367 in cassa integrazione. Con un indotto che supera e coinvolge 20mila addetti. Insomma, si tratta di una partita industriale (ed elettorale) molto delicata per Di Maio che sa bene di non avere più margine di manovra: il tempo, per l'Ilva, è denaro, più di quanto non lo sia per altre aziende: il gruppo siderurgico perde un milione al giorno, che significano 30 milioni al mese. E a inizio agosto c'erano in cassa circa 24 milioni. Rimandare le decisioni ha un costo. E a fine settembre la cassa sarà definitivamente vuota. Ad ore è invece atteso il parere nel ministero dell'Economia per avere chiarimenti sulla proroga, a gara in corso, delle scadenze intermedie del piano ambientale.

Secondo indiscrezioni il ministro Sergio Costa potrebbe richiedere una stretta sui tempi per la realizzazione di diverse opere.

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