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Tutto pronto per Xi in Italia: vietate proteste e domande

Roma modello Pechino per la visita del presidente cinese. No al sit-in radicale e nessun confronto con la stampa

Tutto pronto per Xi in Italia: vietate proteste e domande

Roma modello Pechino? Se non fosse per le buche e per i sampietrini la Città Eterna potrebbe apparire un po' come la capitale cinese. Il prossimo fine settimana quando Xi Jinping soggiornerà a Roma, sarà difficile vedere traffico o assembramenti in una ampia zona che non comprende solo il centro storico. Le visite del presidente cinese, in programma al Quirinale (venerdì 22) e a Palazzo Chigi (sabato 23), hanno portato i responsabili della sicurezza a rafforzare i controlli. Insomma Xi Jinping correrà lungo le vie romane senza incontrare contestatori e sit-in di protesta, proprio come in Cina. A farne le spese i radicali. Un piccolo drappello (una ventina di militanti) guidato da Maurizio Turco, aveva chiesto la possibilità di prendersi un angoletto di piazza Colonna per manifestare contro il probabile accordo commerciale tra Italia e Cina. Gli è stato risposto che l'area vietata per manifestazioni di questo tipo era molto ampia e li hanno dirottati a viale Mazzini dove i radicali terranno il 23 mattina una conferenza stampa di fronte alla Rai. Prima ancora della cessione del debito nazionale o dell'accordo sulla cosiddetta «Via della Seta», ai radicali preoccupa che il nostro Paese intrattenga rapporti con chi - come spiega Turco - «entro i propri confini fa uso di campi di rieducazione, di esecuzioni capitali di massa e di repressione delle minoranze». «A forza di tollerare quanto succede nei Paesi totalitaristi - spiega l'esponente radicale - si finisce per abituarsi a violare i diritti umani». I radicali ripetono la reprimenda arrivata a suo tempo dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che ricorda come in Italia ci sia un evidente problema legato al giusto processo e alla carcerazione. Di certo si sa soltanto che al momento di lasciare Roma, dopo il pranzo ufficiale con il premier Conte a Villa Madama, il presidente cinese non accetterà domande all'incontro con i giornalisti. Si limiterà a scarne dichiarazioni. Proprio come in un tradizionale Paese totalitario.

Intanto si preannuncia un surriscaldamento del clima politico alla vigilia della visita di Xi Jinping. La paventata cessione di parte del debito pubblico nazionale non piace non soltanto alle opposizioni ma anche a buona parte della Lega. D'altronde i vertici del Carroccio hanno già detto che l'intero memorandum sulla Via della Seta va rivisto perché in alcuni punti (telecomunicazioni) va a interferire con settori legati alla sicurezza nazionale.

Vero è che la Cina già detiene un'ampia porzione del debito statunitense. Per avere una quota di debito pubblico italiano pari a quella che già detiene di titoli del Tesoro Usa, Pechino dovrebbe comprare, secondo una stima proposta dall'AdnKronos, Btp per 120 miliardi di euro, quasi un quinto di tutti i nostri titoli di Stato detenuti da stranieri (634 miliardi).

Le opposizioni lamentano comunque alcune incongruenze nella politica del governo gialloverde. Per il Pd è singolare che il Movimento 5 Stelle così «euroscettico» sia pronto a stabilire rapporti privilegiati con la Cina. Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, poi, lamenta il mancato passaggio in un'aula parlamentare della discussione sul memorandum. Mentre Fabrizio Cicchitto (Riformisti e Libertà) rispolvera il Piano Marshall.

«Perché questo sembra il progetto Via della Seta» spiega, «proposto peraltro da uno Stato ultra comunista impegnato nell'espansionismo economico prima in Africa e ora in Europa».

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