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Ue, cortina di ferro sui rifugiati Volano gli stracci fra Est e Ovest

Scontro sulle «quote» al vertice europeo. Tusk: «Inefficaci»

Foto d'archivio
Foto d'archivio

L'immigrazione spacca in due come una mela l'Unione europea. Est contro Ovest. Da una parte l'ala della solidarietà interna, quella che chiede collaborazione fra gli Stati europei, perché si condivida il peso e il dovere dell'accoglienza dei migranti. Dall'altra quella dei muri, che non vuole farsi carico dei flussi e pretende lo stop al metodo obbligatorio per la ricollocazione dei richiedenti asilo. E tra le due grandi istituzioni europee volano gli stracci, con il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker che attacca pubblicamente i vertici del Consiglio, l'omologo Donald Tusk, sul dossier dei 35mila rifugiati trasferiti da Italia e Grecia. «L'Europa è sufficientemente forte, come i suoi Stati membri, per poter assorbire 35mila persone. Vorrei che su questo punto ci si calmi un po' e ci si ecciti meno» sbotta Juncker, che polemico sottolinea come qualche decina di migliaia non mettano «in discussione la civilizzazione dell'Europa». E il Continente viaggia così a due sensibilità più che a due velocità, ma rischia comunque di diluire i tempi decisionali. È anche per questo che si rischia di approdare a un voto a maggioranza in seno al Consiglio Ue invece che al tradizionale metodo del consenso.

Oggetto del contendere è la modifica del Trattato di Dublino. L'obiettivo è di mettere fine al principio in base al quale ad accogliere siano i Paesi di confine o approdo perché venga invece inserito quello in base al quale tutti gli Stati membri devono occuparsi degli arrivi. Ma la lite più feroce è sulla redistribuzione obbligatoria dei migranti, che non va a genio ai quattro Paesi dell'Est uniti dal patto di Visegrad. Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia chiedono piuttosto di rafforzare le frontiere esterne e mettono sul banco degli imputati il sistema di ricollocamento per quote, definito «sbagliato» (copyright del ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz, probabile futuro premier) e «inefficace e divisivo» (Tusk). Il presidente del Consiglio Ue «ha ragione quando dice che le quote obbligatorie di rifugiati nella Ue non hanno funzionato», ha detto nei giorni scorsi anche Kunz, pronto a formare un nuovo governo in Austria con l'ultradestra anti-immigrati del Fpo. «Le quote non sono la soluzione» ha ribadito il neopremier ceco Andrej Babis.

A guidare il fronte opposto è invece Angela Merkel, supportata dalla Francia da una parte e dall'Italia dall'altra. Se infatti c'è soddisfazione per i progressi sulla politica migratoria esterna, cioè sugli accordi con i Paesi africani di origine e transito (35 milioni per l'Africa dai Paesi Visegrad), i toni si inaspriscono quando si arriva al nodo della condivisione degli impegni. «Non possiamo accettare che nella maggioranza delle aree ci sia solidarietà mentre in altre no. Questo non è accettabile», spiega Merkel. Per la Cancelliera restano troppe le differenze sul tema della solidarietà interna. Stesso refrain per il nostro presidente del Consiglio: «Indisponibilità inaccettabile», commenta Paolo Gentiloni. «Il principio è che chi fugge da una guerra, da una dittatura, da una persecuzione, da una catastrofe, deve trovare asilo in Europa. Ciò fa parte della civiltà e delle nostre regole». Poi punta il dito contro i Paesi che prendono dalla Ue «solo le scelte gradite». Copione quasi identico per il leader francese Macron, che insiste sul tema della solidarietà interna: «Lavoriamo per avere un vero accordo sul piano interno ed esterno da ora a giugno».

Sul fronte esterno, a incoraggiare è anche il bilancio italiano sul dossier Libia.

I numeri dei rimpatri volontari assistiti di migranti dal Paese nord-africano sono «oltre dieci volte quelli dell'anno scorso - spiega Gentiloni - e fanno pensare che proseguendo questa azione, nel corso di alcuni mesi i campi gestiti ufficialmente in Libia potranno essere quasi completamente svuotati».

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