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"La deriva islamica? Colpa della Ue"

Casini, presidente della commissione Esteri al Senato: "L'incoerenza di Bruxelles ha frustrato la Turchia"

"La deriva islamica? Colpa della Ue"

Il Papa condanna il genocidio armeno e la Turchia lo accusa di discriminazione, mentre il governo italiano parla con voci discordanti.

«Credo - risponde Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato - che bisogna fare i conti con la storia degli ultimi 20 anni, prima di parlare di fatti di cent'anni fa. Nessun Paese come l'Italia può vantare una posizione limpida verso la Turchia. Si sono alternati governi di destra e di sinistra, ci sono stati Prodi e Berlusconi a Palazzo Chigi, ma sempre ha tenuto le porte aperte alla Turchia per favorire le sue prospettive di adesione all'Europa. E questo per tre motivi: perché è un grande Paese della Nato, è un importante bastione contro il terrorismo e l'Isis, e un mercato dove i nostri investitori operano con successo. L'Europa, invece, non ha avuto la stessa coerenza. Francia e Germania hanno appoggiato a intermittenza le richieste d' integrazione turche, provocando una frustrazione in tutta la classe dirigente di quel Paese. Ciò ha portato a un riflusso, verso la deriva islamica».

Vuol dire che la posizione dura della Turchia nella vicenda armena nasce anche da colpe europee?

«Ricordo il primo Erdogan, che bussava alle porte d'Europa. Solo quando le ha trovate chiuse ha pensato di giocarsi la partita della leadership nel mondo islamico, anche scommettendo sui Fratelli musulmani e sponsorizzando la svolta egiziana di Morsi, finita come sappiamo. Erdogan non ha grandi possibilità, visto che quel mondo è polarizzato, da un lato, su Egitto e Arabia Saudita e, dall'altro, sull'Iran, ma questa sua ambizione ha fatto allentare i rapporti con l'Europa. Oggi l'atteggiamento della Turchia nella lotta all'Isis è assai tiepido e questo non ci giova».

Veniamo alle parole di Francesco sull'Armenia: bisogna difenderle o no?

«Il Papa ha solo ribadito ciò che ha detto, nel 2001, Giovanni Paolo II in termini espliciti».

Forse, non così espliciti?

«Wojtyla parlava in un'epoca in cui la Turchia si andava convincendo che, per la sua speranza di entrare in Europa, era indispensabile risolvere la questione armena, normalizzare i rapporti con quel popolo. Francesco ha fatto il suo discorso nel momento in cui migliaia di cristiani vengono perseguitati nel mondo, con un olocausto quotidiano. Il Papa non può tirarsi indietro di fronte a una realtà storica come quella del genocidio armeno. La reazione della Turchia è ingiustificabile e sproporzionata. Il Gran Muftì ha detto che Francesco era ispirato da lobby politiche, mentre il Papa parla sotto il profilo religioso e storico. Si rivolge a un Paese che ha da poco visitato, per rafforzare legami di amicizia. Credo che i turchi non possano essere ostaggi della storia, mentre altri Paesi hanno riconosciuto le loro responsabilità in fatti gravissimi. Nelle parole del Papa non c'è nessuna ostilità verso la Turchia».

Qual è, a questo punto, il ruolo del governo italiano?

«Da un lato, tenere aperte le porte alla Turchia in coerenza con la politica di Prodi e Berlusconi. Dall'altra, condividere le parole del Papa e io mi riconosco nella dichiarazione del ministro degli Esteri Gentiloni».

E l'Europa?

«Deve riprendere il dialogo con la Turchia, aiutarla a uscire dal disagio attuale e ritrovare la sua via, in un destino comune.

Da parte sua, la Turchia non può pensare che ciò avvenga sulla base della negazione di verità storiche, acclarate».

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