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Ultimatum della Ue sulla Tav: "Se non si fa restituite i fondi"

Bruxelles potrebbe chiederci gli 800 milioni di euro già erogati e dirottarli altrove. La decisione entro l'estate

Ultimatum della Ue sulla Tav: "Se non si fa restituite i fondi"

Senza la Tav, che per ragioni imperscrutabili è odiatissima dai grillini, non solo non avremo quel «buco inutile» (copyright Dibba) che ci collegherebbe alle grandi reti di trasporto e comunicazione europee, da cui resteremo tagliati fuori. Ma dovremo anche rimborsare un sacco di soldi che abbiamo ricevuto.

L'avvertimento arriva chiaro e tondo dall'Unione europea, dove stanno perdendo la pazienza per le bizze e il caos decisionale italiano. «Non possiamo escludere, se ci sono ritardi prolungati, di dover chiedere all'Italia i contributi già versati» per la Tav, ha fatto sapere ieri un portavoce della Commissione Ue. Che ha anche sottolineato il rischio che, «se i fondi non sono impiegati, possano essere allocati ad altri progetti» continentali, lontano dalle grinfie del governo italiano. I continui rinvii, ondeggiamenti e rimpalli italiani irritano comprensibilmente i nostri partner, e al governo che si trincera dietro una misteriosissima «analisi costi-benefici», affidata dal ministro dei Lavori pubblici ad alcuni suoi conoscenti dichiaratamente No-Tav, il portavoce Ue replica: «Quell'analisi non è stata richiesta dalla Commissione», sottolineando che ne era stata già fatta un'altra, ben più approfondita e seria, negli scorsi anni e con risultati positivi. E che è del 2015 un documento congiunto firmato da Italia e Francia, valutato positivamente dal board della Cef per l'attribuzione dei fondi: «Dobbiamo stare attenti ai ritardi che già ci sono a causa della sospensione degli appalti», ha aggiunto.

L'ineffabile Toninelli ha subito replicato da par suo: «L'analisi costi benefici sulla Tav è stata decisa da un governo sovrano che vuole spendere al meglio i fondi pubblici. La Ue stia tranquilla, tra pochi giorni avrà, come da accordi, tutta la documentazione». Per poi notare acutamente: «Io a Torino ci ho lavorato (chissà che gli facevano fare, ndr), e lasciatemelo dire: chi se ne frega di andare a Lione».

Figurarsi del resto quanto può fregare a quelli di Lione di vedersi arrivare Toninelli, con la Tav o anche a piedi. Il problema, però, è che all'Unione europea importa assai degli accordi presi e dei patti sottoscritti, in base ai quali l'Italia ha ricevuto lauti finanziamenti. Il governo continua a vagheggiare di «dirottare» quei fondi su «opere più utili», come «i treni dei pendolari». Peccato siano fanfaluche infondate: quelli erogati per la Tav sono infatti soldi vincolati, in caso di stop ai lavori, Roma dovrebbe restituire a Bruxelles quelli già versati, ossia circa 800 milioni. La deadline è il mese di giugno, quando verrà effettuata una valutazione di tutti i cosiddetti progetti Cef (Connecting European facility): se entro quella data l'Italia non avrà finito di cincischiare e preso una decisione chiara, i fondi non utilizzati verranno spostati dall'Unione europea su altri progetti della rete ad alta velocità, ben lontano dalla sovranissima Italia.

A reagire con durezza alle ultime sciocchezze di Toninelli e compagni è stato subito l'ex premier Matteo Renzi: «Toninelli non è cattivo, ma non ci arriva proprio. Ieri ha detto che la A22 tornerà pubblica, ignorando che lo è già. Oggi fa di peggio: la Ue dice che potrebbe toglierci i soldi della Tav. Lui risponde che qui c'è un governo sovrano che decide. Falso: non decide il governo sulla Tav, ma il Parlamento. E in Parlamento i numeri per bloccare la Tav non ci sono, a meno che Salvini non si tiri indietro in cambio dell'immunità sul caso Diciotti».

Insomma: in Parlamento una maggioranza trasversale, dal Pd a Fi alla Lega potrebbe mettere all'angolo i grillini No-Tav.

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