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Gli ultimi 6mila mohicani senza lavoro né pensione

Sono rimasti fuori dalle salvaguardie. La pasionaria del Comitato: «Molti di noi sono morti, non per l'età»

Gli ultimi 6mila mohicani senza lavoro né pensione

«Molti di noi nel frattempo sono morti: non a causa dell'età» dice Elide Alboni da Modena, una delle voci del Comitato esodati, licenziati e cessati. Così lascia che ci affacciamo sulla voragine dei 250mila esuli: partoriti insieme, il 6 dicembre 2011, tra le lacrime di consapevolezza dell'allora ministro del Lavoro, Elsa Fornero. Ormai numerosi studi clinici hanno approfondito le conseguenze sulla salute non solo mentale di una situazione esistenziale in cui il futuro è scomparso insieme col passato. Qualche sociologo, non è cinismo, ha fatto i conti sul peso che si è abbattuto sui bilanci della sanità.

Esodato: cioè uscito dal lavoro perché ormai vicino alla pensione, fino alla legge che ha bruscamente allontanato l'assegno a data da destinarsi. Elide è una delle «salvaguardate»: ce l'ha fatta al sesto tentativo, nel 2014, tre anni dopo un licenziamento non voluto. Combatte ancora per i 6mila sommersi che non sono riusciti ad aggrapparsi nemmeno all'ottava salvaguardia, nel 2017. Sembrano i volumi di una saga, sono storie di ordinaria disperazione, consumata tra paletti incomprensibili, graduatorie capricciose, requisiti perduti per un soffio.

La nona, ultima salvaguardia, promessa in campagna elettorale soprattutto dalla Lega, con Matteo Salvini che partecipava alle manifestazioni degli esodati, pare destinata a trasformarsi in una «pace contributiva» che sa di beffa. Otto anni dopo essere rimasti senza lavoro e senza pensione, sarebbero invitati a versare un contributo «modesto», forse per i parametri di chi lo propone, ma non per loro, i 6mila che vivono senza entrate, a carico di figli, familiari, conoscenti. Qualcuno pranza grazie agli amici, altri si siedono a tavola alla Caritas o soffrono perché gravano sul piccolo stipendio della moglie part time. È il caso di Guido Lena, «cessato» da un'azienda di Milano nel 2011: «Sono uno dei più fortunati. Cerco di non toccare casa e risparmi per nostro figlio, ma mi mancano 5 anni: sarà impossibile».

Un esercito di senza lavoro e senza pensione, in principio addirittura 400mila secondo le stime dell'allora presidente Inps, Antonio Mastropasqua, in una guerra dei numeri mai finita. Fino a pochi giorni fa c'è stato chi sosteneva, in base a statistiche che ricordano il pollo di Trilussa, che esodati non ce ne sono più. Come dire che loro non esistono. Difficile immaginare pena maggiore dell'essere diventati invisibili agli occhi del mondo.

Esodati. Ovvero «ex mobilitati» poi licenziati, oppure «cessati», usciti dall'azienda firmando accordi unilaterali o collettivi, o «licenziati» unilateralmente da piccole aziende. E ancora, incredibile solo ricordarlo, «genitori in congedo con figli disabili»: pensavano bastassero due anni per arrivare alla pensione, invece il disastro. Poi gli «stagionali» e i «contributori volontari»: gente che ha versato 100 o 150mila euro buttati via.

Donne con la vita sconvolta: prima della Fornero l'età della pensione veleggiava tra i 60 e i 61, in un sol giorno si è allontanata di nove anni e per questo sono loro la stragrande maggioranza dei seimila reduci senza salvaguardia. Ma ci sono tanti uomini, padri di famiglia di colpo a carico o vedovi mantenuti dai figli. Quota 100? Secondo i primi calcoli di Elide Alboni, nel comitato Esodati solo due, in tutta Italia, potranno accedervi: dal giorno dell'addio al lavoro non versano più contributi e la loro età media, sotto i 65 anni, non li agevola nella scalata all'assegno. Nel novembre 2017, Elsa Fornero in un cinema di Torino assisté alla proiezione del film «L'Esodo» di Ciro Formisano. Pianse ancora una volta.

Non è ancora tempo di smettere.

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