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Gli Usa al contrattacco: hackerato il Cremlino. È cyber-guerra aperta

Il Pentagono teme attacchi e si difende così. Furia di Mosca: "È terrorismo di Stato"

Gli Usa al contrattacco: hackerato il Cremlino. È cyber-guerra aperta

New York - Rischia di finire con una cyberguerra fredda quella che è stata definita la peggiore campagna elettorale della storia americana. A ventiquattr'ore dall'allarme lanciato da Washington su un'incursione dei pirati informatici al servizio di Mosca in occasione dell'election day, gli Stati Uniti sono pronti al contrattacco: secondo fonti ufficiali citate da Nbc News, gli hacker del Pentagono sono riusciti a penetrare nei sistemi di comando del Cremlino, nelle reti di telecomunicazione ed elettriche, rendendole vulnerabili ed esposte a possibili attacchi in caso di necessità. Le armi informatiche, spiegano le fonti, verrebbero usate solo nell'eventualità di un grave attacco agli Usa, si tratterebbe insomma di una sorta di «difesa attiva». Mosca, però, ha già detto che se non verrà smentita immediatamente, tale possibilità costituirebbe un cyberterrorismo di stato.

I funzionari americani hanno da tempo affermato pubblicamente che Russia, Cina e altre nazioni hanno lasciato dei virus nelle infrastrutture Usa per «preparare il campo di battaglia», ossia per essere pronti a mettere a segno attacchi informatici in grado di oscurare i servizi internet ed elettrici in varie zone. Da tempo viene ipotizzato che anche gli Stati Uniti si stiano attrezzando nello stesso modo nei confronti degli avversari, e i documenti citati confermerebbero tali supposizioni nel caso del Cremlino. Gli 007 americani non si aspettano in realtà un attacco alle infrastrutture fondamentali - che per molti costituirebbe un vero atto di guerra - ma la preoccupazione riguarda soprattutto possibili azioni di manipolazione e disinformazione, con la pubblicazione di documenti falsi e la proliferazione di account fasulli sui principali social media.

Durissima la reazione di Mosca: «Se non arriverà una reazione ufficiale da parte dell'amministrazione Usa significherà che negli Stati Uniti esiste il cyberterrorismo di Stato», ha tuonato la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova. Mentre il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, ha garantito che ci sono «misure per assicurare la sicurezza dei sistemi informativi, al momento capaci di fronteggiare le minacce ufficialmente ventilate contro di noi dai rappresentanti di altri paesi». Secondo il consigliere di Vladimir Putin per l'agenda digitale, German Klimenko, invece, si tratta soltanto «di propaganda pre-elettorale e retorica». «Dichiarazioni del genere non si fanno mai, non si avvertono gli avversari - ha precisato - e le persone autorizzate a compiere queste azioni di regola tacciono».

E nella cyberguerra fredda tra Usa e Russia entra a gamba tesa anche Julian Assange: in un'intervista a tutto campo a RT il fondatore di Wikileaks ha spiegato che al contrario di quanto sostiene Hillary Clinton «non è Mosca la fonte delle nostre pubblicazioni. WikiLeaks ha pubblicato per dieci anni dieci milioni di documenti, da diverse migliaia di fonti e non abbiamo mai sbagliato». Quindi Assange ha attaccato la candidata democratica: «L'ambizione la divora, sul piano personale mi dispiace per lei», passando poi a parlare dell'Fbi.

«Se si guarda alla sua storia si vede che di fatto è diventato la polizia politica degli Usa, cerca sempre di dimostrare che nessuno può tenergli testa ma la Clinton si è opposta con forza alle indagini, e l'Fbi ora è furente perché lei l'ha fatto apparire debole».

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