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Vaffaday di Renzi: no a Prodi e alla sinistra della nostalgia

L'ex premier sbatte la porta a chi rivuole i «tavoloni» modello Unione: «Fuori dal Pd c'è soltanto la sconfitta»

Vaffaday di Renzi: no a Prodi e alla sinistra della nostalgia

D a Milano, Matteo Renzi mette subito le cose in chiaro: ad inseguire Romano Prodi o Giuliano Pisapia non ci pensa proprio. Del «passato meraviglioso che non è mai esistito», quello del «centrosinistra largo» e dei «tavoloni con dodici sigle dell'Unione, ferme a parlarsi addosso e a litigare da mane a sera», non ha alcuna «nostalgia». Vogliono organizzare una nuova sinistra contro il Pd? Si accomodino. Ma sappiano che «chi immagina un centrosinistra senza il Pd vince il premio Nobel della fantasia», e soprattutto fa vincere gli altri: «Fuori dal Pd c'è solo la sconfitta del centrosinistra».

L'unico leader cui dedica un pensiero positivo è Walter Veltroni: «Della sua intuizione ho nostalgia: il Pd deve stare insieme per qualcosa, non contro qualcuno». Non contro Berlusconi, come fu ai tempi di Prodi, ma per un'agenda di riforme che è quella del governo Renzi, che ora il governo Gentiloni sta portando avanti con «un lavoro straordinario». Il leader Pd sa che nel pomeriggio, a Roma, si riunirà la piazza della sinistra anti-Renzi, con Giuliano Pisapia sul podio e Massimo D'Alema a dare la linea dietro le quinte. E decide di essere lui ad anticipare la rottura, celebrando tra gli applausi del suo popolo convenuto a Milano il suo «vaffa-day» contro le nostalgie di un centrosinistra del passato che si teneva insieme col vinavil dell'antiberlusconismo ma non riusciva a «pensare il futuro». Per carità, dice, «siamo pronti a ragionare con tutti», ma «sui temi del futuro dell'Italia non ci fermiamo davanti a nessuno». Neppure al mostro sacro Romano Prodi, che invoca il ritorno alle coalizioni e si propone di nuovo come federatore. E che ieri Repubblica, il quotidiano di riferimento del centrosinistra e alla perenne ricerca di nuovi leader da lanciare, ieri ha infilato in un curioso sondaggio: «Torna Prodi» annunciava speranzoso il titolo. Il problema è che Pisapia, nonostante le settimane di battage di Repubblica, non pare sfondare. L'ex premier dell'Ulivo lo supera, pur restando dietro Gentiloni e Renzi.

Il segretario del Pd dà il suo altolà a tutti gli apprendisti stregoni che si agitano a sinistra: «I leader non li scelgono i veti, ma i voti». E allo stato, i voti della base Pd li ha lui, non Prodi o Pisapia o chi dall'interno (Franceschini o Orlando) prova a condizionarlo. Magari, insinua, per trattare sui posti in lista.

Poche ore dopo, a Roma, va in onda da Santi Apostoli la piazza della sinistra antirenziana. «Questa piazza è alternativa al Pd», annunciano gli ex Pd Bersani e Speranza. «Questa piazza non è alternativa al Pd», annunciano Orlando e Cuperlo, che essendo sia nella piazza che nel Pd devono tenere le cose insieme. In mezzo c'è il povero «leader riluttante» (così lo presenta Gad Lerner dal palco di Piazza Apostoli) Giuliano Pisapia, che si barcamena come può. Spiega che bisogna smontare ogni riforma fatta da Renzi, rimettere l'Imu e l'articolo 18 e obbedire alla Cgil e cancellare il Jobs Act. Ma spiega anche che «divisi si perde, la sinistra non è autosufficiente e non possiamo far vincere gli altri». Insomma, un accordo col Pd (premesso che Renzi deve fare marcia indietro su tutto) bisognerebbe pure trovarlo. Anche perché la soglia dell'8% al Senato, prevista dal Consultellum, fa un po' impressione. Peccato che sotto il podio D'Alema («L'unico che lì in mezzo ha un po' di attributi», ironizzano i renziani) abbia già dato la linea ai giornalisti presenti: «Alle elezioni andiamo per conto nostro.

Poi, se avremo un grande successo, dialogheremo col Pd».

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