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La vendetta di Renzi: D'Alema deve mollare la poltrona europea

Perde la presidenza delle fondazioni socialiste E i suoi intravedono la mano del segretario

La vendetta di Renzi: D'Alema deve mollare la poltrona europea

Quando d'ora in poi a Massimo D'Alema gli faranno domande sgradite alle quali non vuole rispondere, non potrà più dire: «Mi occupo quasi solo di questioni europee e internazionali». La versione post-elezioni di Matteo Renzi è ancor più incattivita di quella ante, tanto che è andato a cercarsi una dura rivincita contro Massimo D'Alema, responsabile, a suo dire, della guerra interna al Pd che gli ha fatto perdere voti. Da oggi la Feps (Foundation for European Progressive Studies, uno dei più importanti think tank del mondo, fucina di idee dietro il Partito socialista europeo) non è più in mano al fu Lìder Maximo che l'ha guidata per 7 anni. Renzi gli ha tolto l'ultimo straccio di occupazione che gli era rimasta, impedendogli di fatto di ricandidarsi. La presidenza va all'eurodeputata portoghese Maria Joao Rodrigues, unica candidata, vicepresidente del Parlamento europeo e del gruppo S&D, la famiglia europea che racchiude le forze progressiste e di cui Gianni Pittella, uomo forte di Renzi a Strasburgo, è il presidente. Tutto così torna. «Si consuma una vendetta politica ordinata dall'Italia», commenta Roberto Speranza, coordinatore di Mdp. Gli fa eco il deputato di Mdp Arturo Scotto: «Si sente il profumo della vendetta di qualcuno». D'Alema, dunque, fregato per la seconda volta in 3 anni, se si considera che nel 2014 Renzi gli sfilò anche la poltrona di Alto rappresentante Ue per la Politica Estera e la Sicurezza a cui teneva molto, regalata a Federica Mogherini.

Dietro alla Rodrigues c'era un folto numero di Fondazioni europee che non vedevano l'ora di far le scarpe a D'Alema. Gli aventi diritto al voto sono 90, due per ognuna delle 45 fondazioni aderenti, 7 delle quali italiane (quella che rappresenta il Pd è la Eyu, presieduta dal renzianissimo Francesco Bonifazi). Del resto D'Alema in ambito Pse non godeva più da tempo di molti amici. Lo scambio di accuse tra lui e il segretario del Pse, il bulgaro Serjei Stanishev, durante la campagna referendaria, ne sono una prova. Il segretario del Partito socialista europeo dette la sua benedizione alla riforma Renzi-Boschi e D'Alema gli rispose di pensare a casa sua. Il 12 giugno, sette delle più importanti Fondazioni europee riunite in Feps, scrivono una lettera a D'Alema per chiedergli il passo indietro, accusandolo di aver contribuito alla faida interna al Pd che ha portato alla scissione e ricordandogli il dovere di «preservare l'unità e promuovere lealtà». Due parole sconosciute ai renziani visto come ieri il ministro dello Sport, Luca Lotti - braccio destro del segretario del Pd - si è rivolto al collega di partito e di governo Dario Franceschini che ha osato criticare le scelte della segreteria: «Renzi lo voltano due milioni di persone. Discussione finita». «No, inizia ora», la replica del ministro.

Se viene trattato così un loro ministro, figuriamoci D'Alema che accusa Renzi di aver fatto pressione su partiti e governi di altri Paesi.

Gioco facile da immaginare se si pensa che in Europa le fondazioni sono spesso diretta espressione dei partiti.

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