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Quei connazionali a Tripoli, in pericolo per lavoro

Dal vescovo agli equipaggi dei rimorchiatori: cresce la paura per gli italiani "costretti" a restare

Quelli della Bonatti non sono gli ultimi lavoratori italiani presenti ufficialmente in Libia. La loro presenza, per quanto pericolosa, è indispensabile quanto quella degli equipaggi dei rimorchiatori Asso 21 e 22 che incrociano a turno intorno ai pozzi off shore di Bahr Essalam, a un centinaio di chilometri dalle coste di Sabratah e Tripoli. Per gli equipaggi di questi rimorchiatori d'alto mare il rischio è una condizione quasi obbligata. Tra marzo e aprile 2011 - durante i giorni caldi della rivoluzione libica - l'equipaggio di Asso 22 si ritrovò sequestrato per quasi un mese da un gruppo armato libico. E ad aprile di quest'anno una motovedetta libica, evidentemente complice dei trafficanti di uomini, non ha esitato ad aprire il fuoco contro il rimorchiatore «Asso 21» che dopo aver salvato un gruppo di migranti tentava di tirarsi dietro il barcone utilizzato dagli scafisti. Gli Asso, di proprietà della compagnia armatrice napoletana «Augusta offshore», non hanno comunque molta scelta. Sono pagati proprio per restare in prossimità delle piattaforme dell'Eni e garantire la riparazione di eventuali guasti o il salvataggio del personale in caso d'incendio o d'evacuazione.

Se qualcuno in Libia deve restarci per garantire la manutenzione degli impianti e la sicurezza del personale qualcun altro è costretto a restarci per non perdere l'unica fonte di reddito disponibile. È il caso di una piccola ditta a conduzione familiare che - nonostante la presenza a Derna dello Stato Islamico e nonostante il rapimento proprio a Derna nel gennaio del 2014 di due suoi operai calabresi - ha continuato, fino a tre mesi fa, a mantenere aperti i propri uffici e far lavorare un piccolo gruppo di italiani. Poi grazie anche agli inviti della nostra preoccupatissima «intelligence» l'azienda si sarebbe rassegnata a chiudere i battenti e rinunciare alle commesse che l'avevano spinta ad accettare una presenza ad altissimo rischio. A Misurata continua, invece, a insegnare la nostra lingua un giovane professore d'italiano di cui è preferibile, per ragioni di sicurezza, non rivelare il nome.

Ovviamente dopo la chiusura a febbraio della nostra ambasciata è sempre più difficile individuare tutte le presenze italiane sopravvissute alla crisi libica. Soprattutto se bisogna inseguire i circa 200 individui con passaporto italiano e libico che sono molto spesso cittadini libici discendenti di matrimoni misti, ma nati e cresciuti nella nostra ex colonia. Sopra e oltre la categoria del lavoro e del passaporto si staglia però la presenza di Monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli. Il 73enne vescovo di Tripoli continua a recitar messa nella capitale libica nonostante la consapevolezza di esser diventato un obbiettivo ad alto rischio. «So bene di essere un obbiettivo, ma cosa posso farci? - confidava a marzo al Giornale - posso solo affidarmi al Padre Eterno.

Se ha voluto tenere me e questa chiesa in mezzo al mondo musulmano allora farà di tutto per difenderci».

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