Politica

Il vescovo «scomunica» la toga che condannò il tabaccaio giustiziere

Mons. Tessarollo: «Quello che non è riuscito a rubare il ladro, glielo ha dato il giudice...»

Il vescovo di Chioggia, Adriano Tessarollo, non lascia, anzi raddoppia. E ai cronisti che ieri l'hanno assediato conferma di non essere minimamente pentito della «lettera aperta» al giudice che ha condannato il tabaccaio «giustiziere» Franco Birolo che, in quanto di Civè di Correzzola (Padova), fa parte del gregge di pecorelle di competenza del del pastore Tessarollo. Un sant'uomo che però, quando ha qualcosa da dire, non lo manda certo a dire, preferendo metterci la faccia. In questo caso, oltre alla faccia, monsignor Tessarollo ci ha messo pure la firma, pubblicando sul sito della sua diocesi un articolo più chiaro ed efficace di quello che avrebbe potuto vergare un editorialista di gran nome. La vicenda è nota. E si riferisce alla condanna inflitta al signor Franco Birolo, il tabacaio «giustiziere» di Civè di Correzzola condannato a 2 anni e 8 mesi e a risarcire la famiglia della «vittima» (cioè il ladro moldavo di 23 anni che gli stava «ripulendo» il negozio ndr) con 325mila euro. Questo almeno secondo il verdetto di primo grado pronunciato dal tribunale di Padova. Il dramma si era consumato il 23 aprile di tre anni e su Birolo pendeva l'accusa di eccesso colposo di legittima difesa.A far discutere non è tanto la condanna in sé, ma l'entità della pena, capace di distruggere l'esistenza a Birolo e a tutta la sua famiglia. L'analisi di mons. Tessarollo prende le mosse proprio da questo assunto: «Cerco di capire i diversi punti di vista. Quello del giudice, credo, parta dal fatto che il ladro non era armato, e quindi non era in pericolo la vita del signor Birolo. Non era programmata violenza contro la persona, quindi reazione sproporzionata. Il sentire della gente parte da un altro punto di vista». A spiegarlo, con parole semplici ed efficaci, è sempre Tessarollo: «Un padre di famiglia, un imprenditore, un lavoratore, che sta a casa sua, lavorando o dormendo, ha diritto di non vedere violata la sua casa, compromessa la sua attività, derubati i suoi beni, minacciata la quiete e tranquillità sua e dei suoi familiari. La vita delle persone non è solo vita fisica, ma un complesso di realtà come anche la casa, l'attività, la roba, la libertà, lo spazio vitale, il progetto di vita e la propria sicurezza, in una parola l'insieme dei propri diritti umani e civili! Basta che uno si presenti senza armi perché gli sia assicurata l'incolumità, mentre lui viola palesemente i diritti civili fondamentali degli altri?». A questo punto il monsignore fa una domanda retorica: «Non ha diritto uno di vivere in pace senza sentirsi oggetto di violenze, ruberie e aggressioni, senza pensare di dover barricarsi in casa, di porre allarmi, di vivere nell'ansia che se non oggi, domani certamente subirà un furto o rapina?». Altra quesito tutt'altro che peregrino: «E che ne sa uno delle reali intenzioni di chi entra in casa rompendo, scassando e rubando quanto acquistato e conservato con tanta fatica e lavoro o a cui si è particolarmente affezionati? Si aggiunga poi che tutti sanno che quei danni non te li risarcisce nessuno, che quei malviventi vivono sulle fatiche degli altri, che per portare via 10 fanno danni per 100 e non gli importa niente. Inoltre nella stragrande maggioranza dei casi o non vengono presi o se presi se la cavano con pene brevissime e così insignificanti che poi quasi subito tornano a ripetere le stesse azioni». Le riserve esplicitate dal vescovo di Chioggia trovano il pieno sostegno da parte dell'opinione pubblica, soprattutto lì dove si fa presente come «la sanzione di 325.000 euro significa 1000 euro al mese per oltre 27 anni! Questa somma potrebbe essere in grado di mettere in ginocchio e destabilizzare la serenità della famiglia del derubato. Mi permetta un'ironia, signora giudice: quello che non era riuscito forse a rubare il ladro da vivo, glielo ha dato il giudice, completando il furto alla famiglia, un bel vitalizio ottenuto per i suoi familiari, con l'incidente accadutogli nel suo lavoro di ladro!»La conclusione di monsignor Tessarollo è tranchant: «Se la legge e chi la rappresenta hanno il compito di educare all'uso proporzionato della forza nella legittima difesa, non bisogna neanche correre il rischio di trasmettere un messaggio del genere: violenti, scassinatori e ladri, continuate tranquillamente la vostra criminale attività, tanto qui siete tutelati per legge, perché nessuno deve farvi del male mentre siete nell'esercizio del vostro lavoro'. Pensiamoci tutti!».

Giudici compresi.

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