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Veti, agguati e Parlamento fermo La trattativa è subito una giungla

Il 29 gennaio primo scrutinio. Renzi: neanche il Pd può mettere paletti. Il Cav avvisa: basta sinistra sul Colle

Una veduta esterna del palazzo del Quirinale durante le consultazioni
Una veduta esterna del palazzo del Quirinale durante le consultazioni

Se sarà una maratona o uno scatto alla Bolt lo vedremo. Tutto fa pensare a un presidente della Repubblica a forza 4. Decisivo potrebbe essere il quarto voto, il primo con la maggioranza fissata a 505 grandi elettori invece che a 672. Anche Matteo Renzi azzarda: «Ragionevolmente a fine mese avremo il nuovo presidente». E la quarta chiama dovrebbe avvenire proprio il 31 gennaio, giusto giusto per rispettare l'agenda Renzi.

Lo start è previsto alle 15 del 29 gennaio. Fino ad allora, due settimane di trattative criptate. Chi non si farà scucire un nome manco a morire è proprio Renzi, il mazziere. In serata, ospite della Bignardi alle Invasioni barbariche , rimarca: «Nessuno può mettere veti, neanche il Pd. Ma se Berlusconi dice no al nostro candidato, ce lo eleggiamo da soli». Giocare in casa ha vantaggi e svantaggi: per esempio, i gol subiti valgono doppio. Quindi il premier punta a far presto, evitando gli psicodrammi e i tradimenti del 2013 che crocifissero Pier Luigi Bersani. Non considererà nemmeno le prime tre votazioni. Meglio resistere alle sirene dell'apoteosi per non inquinare il gioco. Ricordate Franco Marini nel 2013? Al primo turno incassò 521 voti, che poi sparirono. Meglio quindi tre giri di «parola». Ovvero scheda bianca. Parte integrante di questa strategia è non svelare il nome forte su cui fare all-in , a costo di lasciare l'inizio del gioco alle frange dei disturbatori. E se questi dovessero votare un nome a-cui-proprio-non-si-può-dire-di no?

Non è questa la sola insidia per Renzi. In casa rosicchia la minoranza interna del Pd spalleggiata da Sel. Un bel po' di franchi tiratori sarebbero tollerati dalle calcolatrici del premier, ma serve salvaguardare l'unità del partito su una scelta fatidica. La merce di scambio potrebbe essere un rinvio dell'esame del ddl di riforma costituzionale per evitare l'ingorgo istituzionale. Ipotesi su cui il premier sembra ora meno intransigente di prima. Quanto a Forza Italia ieri Berlusconi (che in serata ha visto Umberto Bossi a Palazzo Grazioli) ha mandato il suo avviso ai naviganti: «No a un altro presidente di sinistra». Manfrina o smarcamento dal Nazareno? Preoccupano di più gli aventiniani legati a Raffaele Fitto. Ieri sera i 18 senatori fittiani erano dati a Palazzo Grazioli dal Cavaliere per dirgli in sostanza: «Se non ti piace il premio alla lista, perché l'Italicum?». Dissidenti Pd+dissidenti di Fi= Grosse Koalition con numeri risicati.

Si muovono cauti alfaniani e centristi, che sperano al più di dettare qualche cavillo sulla silhouette del futuro presidente. Ma Renzi punta a un cattolico per metterli a tacere. Attendisti anche i grillini, che hanno congelato le Quirinarie per non bruciare il nome: avverranno a ridosso del 29 e amen. «Il nome del prossimo presidente della Repubblica Renzi e Berlusconi lo sanno da un anno», dice però sibillino il deputato grillino Carlo Sibilia. E i leghisti? «Noi abbiamo 30 voti, al massimo possiamo suggerire una personalità indipendente che non sia schiava di Bruxelles», soffia un Matteo Salvini quasi rassegnato.

Quasi, appunto.

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