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Vietato copiare i funghi cinesi

L'accordo (comico) Europa-Pechino contro le contraffazioni a tavola

Vietato copiare i funghi cinesi

Ma chi li ha mai scopiazzati, dalle nostre parti, i funghi di Xixia? E davvero in Cina esisteva un florido mercato di grappa ucraina fasulla? Per la serie «Ultime stranezze da Bruxelles» i cittadini europei hanno da ieri a disposizione gli allegati all'accordo - annunciato con entusiasmo non privo di solennità - dai portavoce dell'Unione: la pace sottoscritta tra le democrazie del Vecchio Continente e i dittatori di Pechino sul delicato tema delle contraffazioni alimentari. Il governo comunista si impegna solennemente a smettere di plagiare cento prodotti caratteristici delle nazioni europee, e parallelamente qui si giura di piantarla di imitare servilmente altrettante specialità cinesi. Sulla carta, un accordo benemerito, da tempo reclamato dai produttori europei - con in prima fila gli italiani - che vedono i mercati cinesi invasi da improbabili cloni delle loro creazioni. Ma poi, scorrendo l'elenco, qualche curiosità salta inevitabilmente all'occhio.

Per l'Italia niente di strano: vengono messi sotto tutela gioielli della nostra cultura alimentare, dal Barbaresco alla bresaola valtellinese, dal Gorgonzola al San Daniele, e d'ora in poi se a Shangai vorranno godersi una Bufala campana dovranno farsela davvero mandare dall'Italia. Stesso discorso per i francesi, che mettono al riparto dagli agguati cinesi l'Armagnac, il Calvados, il Roquefort, lo Chablis, eccetera. Ma quando si va a scorrere l'elenco degli altri prodotti comunitari oggetto dell'accordo, si aprono degli orizzonti.

Si scopre, ad esempio, che i cinesi sono appassionati consumatori (e copiatori) di Kürbiskernöl, l'olio di semi di zucca prodotto in Austria; che è stato necessario l'accordo per impedire che continuassero a plagiare il luppolo ceco, la chewing gum greca, le prugne di Agen semicotte, le pere rosse portoghesi e persino il Genever, un antenato del gin che si consuma in un territorio ristretto a cavallo tra Belgio, Olanda, Francia e Germania. D'ora in poi, in Cina solo Genever doc.

Le vere sorprese arrivano però quando si va a leggere cosa c'è sull'altro piatto della bilancia: ovvero i cento prodotti cinesi che gli europei dovranno smettere di farsi in casa. C'è una sfilza di tè, e fin qua nulla di strano. Ma si apprende che ci ingozzavamo di una lunga lista di cineserie contraffatte: pasta di fagioli di Pxian, funghi di Fangxian, aglio di Cangshan e di Pizhou, cozze di Shengsi, di carne di capra dell'Otog Arbas. Anzi: credevamo di farlo, perché non erano mica i prodotti originali, erano squallide imitazioni magari fatte a Prato o a Pomigliano. Basta. Da domani, se sullo scaffale del supermercato troverete una scatola di Tianzhu Bai Mao Niu, lo yak tibetano, potrete stare certi che non viene da un allevamento della bassa lodigiana ma davvero dall'altopiano himalayano.

Ah: al momento di firmare, qualcuno a Bruxelles si è ricordato che mentre qua ci preoccupiamo del Tocai in Cina massacrano gli uiguri. «Come facciamo?», avrà detto uno. Così in fondo al comunicato sono apparse due righe: «i deputati si dicono profondamente preoccupati per le notizie relative allo sfruttamento e alla detenzione di uiguri in fabbriche cinesi».

Tutto a posto.

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