Politica

«Vince Trump». E pure stavolta azzecca

Dal 1984 Alan Lichtman prevede il presidente. La formula in 13 risposte

Jacopo Granzotto

Trasforma le previsioni in scienza. É dal 1984 che il 69enne Alan Lichtman, docente universitario di Storia, azzecca il risultato delle Presidenziali. È andata così anche stavolta. Contro ogni pronostico, contro il parere illuminato dei sondaggisti, ha indovinato l'elezione di Donald Trump. Improbabile per tutti, non per lui. E chi se ne frega di quei nastri, del maschilismo galoppante, del contraccolpo emotivo dopo il flop nel terzo dibattito. «Vince lui, sicuro». Chi lo credesse un giocatore d'azzardo dovrebbe rileggersi la lunga intervista apparsa sul New York Post lo scorso 27 settembre, e riapparsa in rete per l'occasione. A suo tempo fece sghignazzare l'articolo. Stavolta il professore casca, si sosteneva ovunque. «Guardate che non sono un sensitivo - fa sapere - non consulto la sfera di cristallo, studio i numeri. Quelli non sbagliano mai». In effetti.

Che botta per l'universo dei sondaggisti americani. Da Nate Silver e il suo «Fivethirtyeight» a Sam Wang del «Princeton Election Consortium» nessuno è riuscito a predire l'elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. C'è riuscito Lichtmann e vediamo come. Piuttosto che nei sondaggi o nei cambiamenti demografici, il segreto starebbe tutto in un sistema matematico denominato Keys to the White House («Le Chiavi per la Casa Bianca») basato su 13 domande vero/falso e illustrato nel libro Predicting the Next President, ripubblicato a maggio dalla casa editrice Rowman & Littlefield. Il sistema non sbaglia un colpo dal 1860. Una volta che si hanno chiare le chiavi, si procede così: si contano i «vero» e a ognuno di essi si assegna un punto a favore del partito in carica. Se 6 o più risposte sono false, a vincere le elezioni sarà il partito sfidante.

Sempre in quell'intervista Lichtman affermava che «Sulla base dei 13 tasti, si potrebbe prevedere una vittoria di Donald Trump. «Quest'anno Trump ha reso la previsione più difficile del solito, ma secondo il sistema vincerà: i democratici sono andati male alle elezioni di metà mandato, il presidente in carica non è in gara, non ci sono state grandi riforme come quella sanitaria effettuata nei primi quattro anni di Obama, non ci sono stati importanti successi in politica estera e la Clinton non ha carisma». A questi 5 punti, se ne aggiunge un'altro: «Il fattore terzo partito, ovvero Gary Johnson». Secondo il sistema, infatti, se un terzo schieramento può portare a casa almeno il 5% dei voti, il partito in carica viene sconfitto. E Gary Johnson, il candidato del partito libertario, naviga attorno al 7 secondo i sondaggi di Real Clear Politics. Se Guam, che non si sbagliava dal 1984, questa volta ha toppato, Lichtman continua a vederci lontano.

E, infatti, ha festeggiato la predizione in anticipo.

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