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Vinti da tasse e burocrazia strangolati dal socio occulto

Storie di chi non ce l'ha fatta: da chi ha ricevuto cartelle esattoriali più alte dell'utile a chi ha deciso di mettere in vendita un rene per rimborsare Equitalia

Vinti da tasse e burocrazia strangolati dal socio occulto

C' è Franco di Avezzano che ipotecava beni di proprietà per pagare i propri operai. Poi c'è Mauro che ha deciso di mettere in vendita un rene per pagare le tasse e ancora Giulio, di Ferrara, che preferisce pagare i dipendenti piuttosto che versare l'Iva. E ancora Enrico, da Teramo, che fa la stessa scelta: evade l'Iva a favore dello stipendio ai dipendenti. Per tutti questi e per migliaia e migliaia di altri lo Stato è il problema. Non ti aiuta. Non fa sconti. Non crea opportunità. Non è solo una questione di tasse. È che tanti si sentono soli a combattere contro la burocrazia, contro troppe norme e poco chiare. Lo Stato per chi fa impresa sembra sempre diffidente. Non si fida. Se va bene lo Stato è un fardello, un balzello, uno che ti chiede di più di quanto hai guadagnato, come è successo al giovane artigiano del Lodigiano che dopo il primo anno di attività dichiara un reddito lordo di 74.964 euro e paga 83.700 euro di tasse. Se va male è una corda al collo.

Queste sono storie di vinti. Sono gli sconfitti della res publica . E siccome la storia la scrivono i vincitori i vinti vengono marchiati d'infamia: evasori. Ecco il racconto di uno di loro, Franco Colucci. Era il 2007, la crisi era ancora una parola sussurrata, alla quale non si voleva credere. Si continuava a vivere come prima, ma di soldi ne giravano meno di prima. Da Oltreoceano arrivavano notizie di depressione (in senso lato) ma qui si tentava di resistere. Il dramma non era ancora iniziato. Eppure qualcuno già non pagava. «Fatturavo ma non incassavo». Dal 2007 al 2009 fattura 7 milioni di euro di forniture effettuate, pronte, montate, costruite. «Io il mio lo avevo fatto, ma gli altri non mi hanno pagato. Non ci sono riusciti. Lavoravo con il pubblico, con il privato, lavoravo molto all'estero, con la Libia. E le cose lì andavano bene, ma poi sono arrivate “le questioni di Stato” e un mercato si è chiuso. Sono arrivati i primi insolventi, i primi mancati pagamenti, e nel frattempo arrivavano anche le tasse. E non sapevo più come fare. Avevo 140 operai, più della metà con famiglie, e ho dovuto scegliere. Ho ipotecato miei beni privati ma non è bastato. Ho scelto l'evasione». Franco Colucci, dopo aver presentato prove documentali e dichiarative, ha fatto leva sul principio di inesigibilità, convincendo il giudice ad assolverlo. Ma è vinto ugualmente. La giustizia gli ha tolto anni di vita.

Altro giro, altra storia. Ha 40 anni e un tempo era un imprenditore. Si chiama Mauro Merlino. «Nel 2012 sono stato costretto a chiudere la mia azienda per colpa delle solite cose: della crisi, delle tasse, della burocrazia. Ho tirato giù la serranda e mi sono messo a fare altri lavoretti, cambiavo spesso, non era facile. In due anni non sono arrivato a due mesi di lavoro effettivo. Nel frattempo le tasse mi rincorrevano. Questo è l'unico aggettivo che trovo. E allora prendo una decisione: metto in vendita il mio rene per pagare le tasse allo Stato. E sì, va bene, era uno slogan. Ma lo avrei fatto davvero». Equitalia non ci sta, si sente diffamata e manda una notifica di provvedimento a suo carico, che, inoltre, dovrà anche pagarsi le spese legali. Mauro la vede come «una grande opportunità per dire quello che pensa».

Gabriele Bissolo, imprenditore di frutta e verdura vicino Verona, per colpa dell'embargo deciso dall'Unione Europea, sta perdendo circa 20 milioni all'anno. L'export in Russia infatti raggiungeva il 60-70% del suo fatturato. Non vuole mandare via nessuno, i suoi dipendenti stanno con lui da anni, ma andando avanti così l'Iva non riuscirà neppure a pagarla. «Dovrebbe esserci un rumore assordate qui nel mio piazzale. Rumore di camion, carico, scarico, cassette eccetera eccetera. Invece nulla. C'è il silenzio. Ci dovrebbero essere casse e casse di mele, quelle veronesi, le Granny Smith, quelli verdi verdi, sai? Ci dovrebbero essere quintali di pesche nettarine, di quelle dolci, ma toste e lisce, di quelle che scricchiolano quando le prendi a morsi. E poi l'uva, sia quella bianca che quella rossa, quella pugliese, da tavola, che piace tanto i russi. E invece l'embargo fa fare stare tutto fermo.

Anche questa è una tassa». Sarà il nuovo vinto?

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