Politica

La vita è seria non lasciamola al Palazzo

Mi chiedo se uno, in condizioni (per esempio) da tetraplegico grave, è così lucido di mente, così non condizionato da poter prendere decisioni così gravi come morire

La vita è seria non lasciamola al Palazzo

Di primo impulso verrebbe da dire: se uno vuole andarsene, fatti suoi e tanti saluti, chi sono io per giudicare? Ma già tutta la mia vita è in mano ai politici e perciò titubo: almeno la morte vorrei presiederla. Ma mi chiedo se uno, in condizioni (per esempio) da tetraplegico grave, è così lucido di mente, così non condizionato da poter prendere decisioni così gravi. Infatti, a parità di condizioni, c'è chi vuol morire e chi no. Dunque, dipende dallo stato d'animo. Le leggi sulle cure palliative e il non-accanimento terapeutico già ci sono e, se ci si pensa bene, bastano. Altrimenti si rischia di entrare in un carosello di sentenze «creative» e di «sostituti» (si pensi al padre della Englaro).

Ma anche essendo pienamente coscienti, si può dire che decisioni di tale portata non siano viziate? Mettere anche questa cosa in mano alla politica significa mettersi sulla china di Belgio e Olanda, luoghi nei quali l'unica vittoriosa risulta essere la cassa del servizio sanitario nazionale. Si sa come si comincia, insomma, e, ahimè, si sa pure dove si va a finire. I casi pietosi servono proprio a far da breccia nella diga e mi ricordano la vecchia barzelletta della Ss e del contadino. Nell'Italia occupata un'auto delle Ss investe il carro di un contadino carico di galline; i polli agonizzano e il contadino ha le gambe tranciate. Scende la Ss e grida: «Ach, io non potere vedere bestiole soffrire!». E le finisce con la pistola. Poi chiede al contadino come sta. E quello, scappando sulle mani: «Benissimo!». Certa pietà, insomma, quando proviene da un certo versante ideologico, è sospetta. Ma la questione in sé travalica il mero calcolo di costi e benefici, perché investe la famosa scommessa di Pascal.

È in atto il processo di beatificazione di Teresa Neumann (1898-1962), la donna tedesca che passò la vita in un letto di dolore. Non era nemmeno in grado di nutrirsi, neanche di bere, cosa che fu testimoniata dagli insospettabili nazisti: le tolsero la tessera alimentare. Passò così quasi 40 anni. Un caso perfetto da dibattito, una «qualità della vita» assolutamente inesistente. Ma oggi qualcuno dovrebbe informare il soggetto che nessuno sa che cosa ci aspetta dopo la morte. C'è chi crede che al di là ci sia il nulla dove si smette di soffrire (vedi Adso da Melk ne Il nome della rosa) e chi crede che ci sia Qualcosa. E che questo Qualcosa potrebbe anche essere peggio.

Se è vero che la guerra è cosa troppo seria per lasciarla ai generali, è vero anche che la vita e la morte sono cosa troppo seria per lasciarla ai politici, col debito codazzo di avvocati e magistrati.

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