Politica

Vita da soviet: ecco il «Truman Show» stalinista

In Russia 400 persone hanno vissuto tre anni in un finto istituto dell'Urss. Per fare un film

Luciano Gulli

Dicono che il film è in fase di montaggio, anche se nessuno sa dire quanto durerà, visto che in magazzino ci sono 700 ore di «girato». E che forse se ne trarrà anche una pièce teatrale, in seguito. Che dire? Speriamo che sia un successo. Giacché per chi vi ha lavorato - ideatore, sceneggiatore, costumisti, fonici, datori di luci, attori e comparse - deve essere stato una specie di vero incubo da cui solo un successo planetario potrebbe psicologicamente (ed economicamente, per quanto riguarda la produzione) riscattarli.

Pensate: più di 400 persone che per tre anni di fila hanno accettato di calarsi in una specie di ultramondo, vestendosi, riscaldandosi, mangiando, pensando, innamorandosi e insomma: vivendo, notte e giorno, in un Istituto di Fisica Teorica perfettamente ricostruito e funzionante nell'Ucraina orientale, in un'epoca compresa fra gli anni Trenta e i Cinquanta del secolo scorso. Quando le sorti di quell'immenso Paese, e dei suoi sventurati abitanti dipendevano dall'umore e dalle regole imposte dal compagno Stalin e dal Kgb.

Un progetto artistico dicono i rarissimi giornalisti ammessi strada facendo a gettarvi uno sguardo dall'interno - di fronte al quale il pur indimenticato Truman Show e l'edizione più riuscita del Grande Fratello paiono al confronto ideuzze da dilettanti. Tutto merito dell'artista russo Ilya Khrzhanovsky (nella foto) che ha sintetizzato trent'anni di vita sotto il martello comunista concentrandoli nel triennio 2008-2011. Tre anni nel corso dei quali come in uno spaccato di vita vera - sul set sono nati amicizie, amori, dissidi, separazioni, odi. Un microcosmo, una gabbia di volontarie cavie umane che ha partorito 14 bambini veri, stando al racconto del produttore esecutivo dello show, Martine d'Anglejean-Chatillon.

Dovendo scegliersi un modello di riferimento, Khrzhanovsky ha pensato alla vita del fisico sovietico Lev Landau, il cui soprannome - Dau - è diventato il titolo della fiction. «Il fatto che si sia scelto quel periodo storico non ha molto a che fare con la politica o con quel regime. L'idea, piuttosto, è stata quella di mostrare uno spaccato di vita. Di osservare al microscopio quel che l'animo umano è capace di creare, sotto il profilo della bellezza, dell'intelligenza, della creatività, della capacità di cambiamento, ma anche il contrario di tutto ciò. Una sorta di enciclopedia della natura umana» , dice la produttrice d'Anglejan-Chatillon.

«Dau Freedom», come si chiamerà il film, verrà proiettato in anteprima in ottobre a Berlino, dove per l'occasione si ricreerà una zona, sul boulevard Unter den Linden, cinta da un muro. Sì, proprio «quel» muro, della cui caduta si celebra quest'anno il ventinovesimo anniversario.

Fisici e matematici vincitori di premi Nobel e musicisti come Brian Eno parteciperanno all'evento.

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