Treno deragliato a Milano

Vite in viaggio dentro una bolla

Vite in viaggio dentro una bolla

Se una mattina d'inverno un viaggiatore, poco importa se avvolto in un loden o in un parka, dimentica per un attimo di essere solo un umile pendolare, può accorgersi di essere in un mondo che non esiste. Una bolla lo ingloba su una banchina della Bassa Cremonese e scoppia come d'incanto a Milano Lambrate. Un portale dimensionale tra la nebbia che allaga stazioni disabitate e la Città Promessa di architetti e giornalisti, manager e studenti. In mezzo, nella bolla, la terra e il tempo di mezzo dei tribolati su rotaia.

Lo hanno fatto quasi tutti, da queste parti, almeno per un po' nella vita. Qui come a Lecco, a Mortara, in Veneto, Emilia, Lazio, Campania, una Repubblica fondata sulla transumanza degli impiegati. Anche quattro ore al giorno per andare e tornare dal lavoro, una parentesi abitudinaria fra due vite, famiglia e lavoro. I pensionati di oggi pendolavano quarant'anni fa, quando i treni erano a scomparti e i piccoli gruppetti si chiudevano dentro, fumavano, giocavano a scopa e conoscevano per nome il bigliettaio. Pendolavano dieci anni fa quelli che magari oggi dalla campagna si sono trasferiti nella metropoli. In bicicletta fino alla stazione in un freddo che non esiste più, sigarette silenziose in sale d'aspetto surgelate e graffitate, i liceali con le versioni da copiare e l'acne. Poi la bolla sferragliante arriva, quasi sempre in «rit. 5 min.», che diventano 10, 15, 25, e ogni mattina inizia un nuovo film; spesso banale o surreale, ora anche horror.

I vagoni dei pendolari possono essere un'Antartide semovibile coi riscaldamenti rotti dove nessun Amundsen osa anche solo togliere i guanti. Altre i caloriferi ti sciolgono le scarpe e sai già che la tonsillite ti aspetterà appena sceso. Una mattina c'è qualcuno di istintivamente simpatico seduto accanto: bello quel libro, l'ho letto anche io, ma dai, ma lo prendi tutti i giorni, non ti ho mai visto, che fai? La mattina dopo solo maleducati - ci sarà una convention, non si spiega altrimenti - che parlano al telefono di nulla, alzano la voce, si tagliano le unghie. Il fastidio monta come panna amara, ti dici che dal mese prossimo basta, si va in macchina. Ma la prima volta che ci provi ci impieghi due ore e ti si ostruiscono due coronarie per il traffico e torni docile al treno.

I vagoni dei pendolari sono ipnotici esperimenti antropologici, condensati dell'umanità nel suo poco bene e nel suo vasto male fatto di insofferenza e insoddisfazione nei secoli dei secoli. L'incubo della coincidenza soppressa lo vedi negli occhi dei pochi che non crollano di sonno, certi olezzi provocano smorfie da avanspettacolo, la ressa è una piaga, le piccole beghe sull'abbonamento non obliterato uno spettacolino quotidiano. Le facce sono da interpretare, chissà che faranno nella vita, chissà per chi tifano, forse il lunedì mattina si può capire. Le fermate sono una formazione da mandare a memoria, Cremona-Olmeneta-Casalbuttano come Sarti-Burgnich-Facchetti; oppure una vera via crucis da esorcizzare nell'autismo di Mp3, uncinetto o lezioni da ripassare. A cento all'ora tra gli sconosciuti nella pianura antelucana, ciascuno è solo col suo sonno e il suo orologio che ticchetta. Qualcuno teme la sporcizia più dei suoi pensieri, ma nessuno lì seduto più o meno comodo teme la morte.

I vagoni dei pendolari sono test di gravidanza che ti dicono che futuro aspetta la società. E se sono sempre più derelitti, preda di gang violente o soffocati dal degrado, c'è da dubitare che la gestazione darà buoni frutti. Di pendolari parlano solo i pendolari, che vedono le Frecce rosse e argentate scintillare negli spot con invidia malcelata. Dimenticati dalle politiche dei trasporti, negletti come i treni piombati della Seconda guerra, i vagoni dei pendolari fanno notizia solo quando un machete stacca un braccio a un povero ferroviere o quando una ragazza viene violentata tra i sedili. Oppure quando un bullone si stacca e una locomotiva si lancia a bomba nella periferia di Pioltello con forza cieca di baleno.

Li raccolsero che ancora respiravano, canterebbe Guccini, ma l'importante è che abbiano obliterato.

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