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Vivere e morire di social "Cacciato" da Facebook si è ucciso a quindici anni

Si era pensato a un tragico incidente E invece si scopre che il ragazzino si è lanciato di proposito dalla balaustra del Santuario della Madonna di Carpenedolo

Vivere e morire di social "Cacciato" da Facebook si è ucciso a quindici anni

Non c'è vita fuori dalla bacheca di Facebook. Se scompari da quel mondo, beh, allora è meglio farla finita con questo mondo. E togliersi una vita che non vale più la pena di essere vissuta. Pare una tesi insensata, folle, malata e in effetti è così, tutti e tre gli aggettivi sono adeguati, ma questa è la realtà. La tremenda verità scoperta dai carabinieri che indagano sulla morte di un ragazzo di soli quindici anni che il 25 aprile ha deciso di farla finita e si è buttato nel vuoto. Un gesto terribile e però per lunghe ore, come ha raccontato la Gazzetta di Mantova, gli stessi inquirenti hanno pensato, o forse sperato, che si trattasse di un incidente: un ragazzo che azzarda troppo e perde l'equilibrio sulla balaustra del santuario della Madonna del Castello, a Carpenedolo, un tranquillo comune in un angolo appartato della Lombardia.

Magra consolazione davanti al lutto per un ragazzo, ma pur sempre didascalia meno dolorosa di quella che è emersa con implacabile chiarezza nel corso degli accertamenti: il giovane, di origini albanesi, si è ammazzato perché si era spenta la sua luce sul social network. Un trauma cui il protagonista non ha retto, come si capisce mettendo in fila gli spaventosi avvenimenti, fino all'epilogo senza misericordia. Dunque, la ragazza del cuore l'aveva cancellato da Facebook. È qui che scatta la scintilla dell'autodistruzione.

Ora si scomoderanno sociologi, psicologi, esperti a spiegare. Sempre che si possa afferrare un filo nell'oscurità della mente. Lui reagisce e toglie a sua volta le loro fotografie dal suo profilo. Ma questo è solo l'incipit, perché il giovane va oltre. Al di là di ogni ragionevole risposta. E si prepara all'ultimo passo, compiendo a modo suo un rituale di morte. Posta, sempre su Facebook, la balconata del santuario. Poi pubblica su Instagram la sua data di nascita e quella del 25 aprile. Nessuno in quel momento può saperlo, ma così l'adolescente ha scolpito la propria lapide virtuale, intrecciando ancora una volta la vita sui social e l' esistenza vera, in carne e ossa. Poi raggiunge il luogo sacro e si avvicina alla balaustra, meta di spericolati e acrobatici selfie in bilico sul nulla. Nessuna esibizione, nessuna sfida, niente di niente: c'è spazio solo per il salto fatale e per dire addio a tutto e a tutti.

A 15 anni, quando la vita, quella reale, sboccia come la primavera e dovrebbe diventare un'avventura straordinaria. L'avventura, si può dire, finisce ancora prima di cominciare, nello sgomento di amici e conoscenti. Qualcuno ora si attaccherà alla biografia per catturare il disagio, la distanza, incolmabile, lo scarto fra il Paese d'origine, sull'altra sponda dell'Adriatico, e la pianura piatta che l'aveva accolto regalandogli una seconda chance. Ma l'obiezione viene respinta: per quel che si può scandagliare il ragazzo si era perfettamente inserito nella famiglia e in quel territorio grande come un fazzoletto. No, ci vuole coraggio: cambiare passo e puntare dritti sulle paure e le fragilità delle nuove generazioni, su quell'incastro inestricabile fra quel che è e quel che appare. Sul confine labile fra il vero e il verosimile. A volte si crea un cordone ombelicale che pompa emozioni troppi grandi per un cuore ancora non attrezzato, ancora non in grado di padroneggiare i sentimenti, le delusioni, le piccole grandi ferite di una vita che assomiglia ad un cantiere. Troppo in troppo poco spazio. E alla fine l'oscurità sulla lavagna di Facebook può diventare un lutto senza orizzonte, impossibile da elaborare. Il silenzio diventa l'anticamera del congedo. Senza parole.

E la cifra di un finale cui non possiamo rassegnarci ma che è sotto i nostri occhi sbigottiti.

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