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Il vizio del giustizialismo per gli avversari. Tutti gli attacchi di un forcaiolo doc

Da Berlusconi e Lupi, l'ex comico ha sempre chiesto processi, manette e gogna

Il vizio del giustizialismo per gli avversari. Tutti gli attacchi di un forcaiolo doc

Indulgente con i suoi. Forcaiolo con gli altri. Il garantismo grillino, ripiego al quale, negli ultimi tempi, si sono aggrappati i discepoli della setta M5s, adatto a giustificare le infrazioni e le tante incompetenze commesse dai loro sindaci e parlamentari, è bello che finito. Si è tornati nella vecchia e cara fase forcaiola e giustizialista che più si addice al Karma cinquestelle.

Nel 2012 l'attuale governatore della Lombardia, Roberto Maroni, appartenente a quella Lega Nord che mostrò un cappio in Parlamento, etichettò quella di Grillo come «una forma di lotta politica violenta e forcaiola». Forse aveva ragione. Da allora Beppe non smise più di chiedere dimissioni, galera e manette per i suoi avversari, anche se solo indagati. Giulia Grillo, altra esaltata, nel 2013 si scagliava contro Silvio Berlusconi: «È inaccettabile che un condannato per via definitiva continui a condizionare le sorti economiche del nostro Paese solo al fine di evitare l'esecuzione di una sentenza di condanna». Il garantismo è svanito da quando anche loro hanno scoperto che rispettare le regole nelle città che governano non è facile. Fa più comodo invocare la forca.

Il vizietto dei grillini è sempre stato lo stesso: forcaioli con gli altri e garantisti con se stessi. L'ex ministro Maurizio Lupi fu crocifisso dai Cinque Stelle senza essere indagato, per lo scandalo del Rolex ottenuto in regalo da una persona coinvolta nell'inchiesta sulle tangenti per le grandi opere. I grillini lo attaccarono violentemente in aula, chiedendone le dimissioni. E le ottennero. Dimissioni che invocarono anche per il ministro Angelino Alfano, quando saltò fuori la storia del fratello assunto in una società delle Poste, e per la ex ministra Maria Elena Boschi per lo scandalo di Banca Etruria che coinvolge il babbo. In questi due casi senza ottenere successo però. La colla che usano per le loro poltrone è Super Attak.

Nel settembre 2015, Beppe Grillo dall'alto del suo blog sognava «un Paese autoritario, illiberale e forcaiolo», «un partito unico, al 96%, senza opposizione dove ogni idea diversa è considerata inutile e dannosa». Nel mondo a cinquestelle il primo grado di giudizio sarà definitivo. «Abbiamo abolito la prescrizione», delirava. Luigi Di Maio l'intransigente, sempre nel 2015, rincarava la dose: «Non sono a favore della presunzione d'innocenza per i politici. Se uno è indagato, deve lasciare».

E questo vale per tutti tranne che per loro. I casi del doppiopesismo grillino si sprecano. Rosa Capuozzo, sindaco di Quarto, finita nell'inchiesta sui condizionamenti della camorra alle elezioni, venne difesa a spada tratta. Quando a finire nel registro degli indagati per bancarotta fraudolenta fu il primo cittadino di Livorno, Filippo Nogarin, i pentastellati si spellarono le mani. Lo stesso per la fiducia accordata a Virginia Raggi combina-guai. «Onestà! Onestà!». Come scrive Spinoza: «Grillo propone sul blog una giuria popolare per valutare le bufale.

Le migliori finiranno dritte in homepage».

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