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Zaia spiazza e vaccina Salvini: stop alla moratoria in Veneto

Il governatore ci ripensa e sul morbillo si adegua alle misure nazionali. Il silenzio del leader leghista

Zaia spiazza e vaccina Salvini: stop alla moratoria in Veneto

L'insurrezione della Regione Veneto sui vaccini si ferma a metà. E il governatore leghista Luca Zaia torna a più miti consigli, sospendendo temporaneamente la moratoria fino al 2019 dell'obbligo per l'iscrizione dei bambini fino a 6 anni in asili nido e scuole d'infanzia. Ma chiede un parere del Consiglio di Stato sull'interpretazione della legge.

Da palazzo Balbi, sede veneziana della Regione, assicurano che non è un «retrofront», ma è difficile leggerlo diversamente. «Il decreto è sospeso, non revocato», precisa il governatore scrivendo alle ministre della Salute Beatrice Lorenzin e dell'Istruzione Valeria Fedeli, che gli avevano mandato una lettera di richiamo. La prima minacciava di ricorrere al Tar, commissariare la Regione. E avvertiva: «Saranno responsabili di eventuali epidemie».

Sembra che la decisione Zaia l'abbia presa solo con i suoi tecnici, in testa il direttore generale della sanità, Domenico Mantoan. E su di lui scarica ora l'inversione di marcia «autonoma». Arriva su Facebook l'annuncio clamoroso: Zaia ha cambiato idea, anzi no è stato Mantoan, che in una lettera «conferma la sua posizione» sull'interpretazione della legge per la possibilità di una moratoria», ma la sospende «con decisione autonoma, come peraltro avvenuto nella formulazione del decreto», in attesa di un «parere autorevole» sul contenzioso». Parere che verrà dalla Corte dei conti, mentre ad agosto il governatore aveva annunciato un ricorso alla Corte costituzionale per una sospensiva dell'obbligo vaccinale.

Il governatore non si è consultato neppure con gli alleati in giunta e alla fine si è reso conto di trovarsi solo, con un decreto che potrebbe trasformarsi in un boomerang, soprattutto, in vista del referendum autonomista del 22 ottobre. «Zaia - spiega un deputato azzurro beninformato- ha capito che la sua mossa poteva spaventare gli indecisi, spingendoli verso il no. E lui cerca, invece, il plebiscito».

Lo stop veneto era apparso come un atto d'insubordinazione verso lo Stato centrale, quasi un ritorno del Carroccio alla stagione secessionista, anche perchè il leader della Lega Matteo Salvini aveva definito quella di Zaia «una battaglia di libertà, di cura e di salute pubblica fondata sulla cultura e non su obblighi sovietici», respingendo le raccomandazioni a rispettare la legge dei capigruppi di Forza Italia in parlamento, Paolo Romani e Renato Brunetta. Quest'ultimo, anche ieri mattina aveva invitato Zaia a riflettere, ricordandogli che in parlamento FI «ha migliorato il testo sull'obbligatorietà» e «non è possibile il fai da te, la copertura parziale».

Ora, nell'imbarazzo generale, Salvini tace e Zaia neppure vuole mettere la faccia sul ripensamento, che i dem definiscono «doveroso e inevitabile». «Il passo indietro di Zaia, è un sonoro schiaffo al suo leader», commenta Ap.

Il governatore sembrava inflessibile, di fronte a proteste e polemiche, alle critiche del leader Pd Matteo Renzi. Il presidente leghista della Lombardia Roberto Maroni aveva fatto una scelta diversa, la Regione Liguria pure e sindaci di centrodestra, come quello di Venezia Luigi Brugnaro, si erano smarcati. I vertici della Federazione nazionale dei medici e dell'Ordine di Venezia, gli avevano scritto di non creare «un territorio a due velocità».

Alla fine, cosa ha provocato lo spiacevole voltafaccia? Forse Zaia ha avuto il timore di aver osato troppo, di aver cercato lo scontro senza avere le spalle coperte, ha capito che andava a sbattere. L'isolamento e le pressioni di Fi certo hanno avuto peso, ma determinante sarebbe stata la valutazione delle ricadute sul referendum autonomista, che si terrà ad ottobre con quello analogo in Lombardia.

Ora tutti plaudono Zaia, da Lorenzin a Fedeli, da Fi a Pd e Ap, ma sono quei complimenti velenosi che chiunque vorrebbe risparmiarsi.

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