Cronache

Zermatt, le guide alpine difendono Castiglioni: "Vinto solo dalle fatalità"

"Conosceva il percorso ed era ben attrezzato". Decisiva una catena di eventi imprevedibili

Zermatt, le guide alpine difendono Castiglioni: "Vinto solo dalle fatalità"

Morire di sci a maggio. Per quel che serve, questo è il tempo dei perché. E, se possibile, delle risposte. Per non lasciare anche i dubbi a sbiadirsi in quel whiteout di gelo, neve e vento che ha travolto, 4 notti fa, 14 scialpinisti, esperti ed equipaggiati, su un colle del Vallese a 3280 metri a soli 500 metri dal rifugio e dalla salvezza. Con la morte, mercoledì, di una 43enne di Parma, mamma di tre bimbi, salgono a sette le vittime del team italiano: 3 bolzanini, un infermiere di Como, la guida Mario Castiglioni e sua moglie di origini bulgare. In ospedale restano in due, un francese di 56 anni e uno svizzero di 72. Ai sopravvissuti, restano le domande, l'angoscia, la rabbia, anche. Accuse e dettagli che i magistrati svizzeri proveranno a chiarire. Ma intanto, anche grazie anche alle Guide alpine Italiane, emergono sia l'indubitabile professionalità di Castiglioni «Che aveva, invece, Gps e conosceva bene il percorso», sia una serie di tragiche fatalità. Intanto la partenza, come da manuale non oltre l'alba dal rifugio de Dix. Due gruppi: quello italiano guidato da Castiglioni e un pugno di francesi e tedeschi senza guida. Gli italiani hanno già deciso: in vista del maltempo, ampiamente previsto dalle 10 del mattino, non arriveranno in vetta alla Pigne d'Arolla, la «cima Coppi» del percorso, ma non punteranno nemmeno alla cabane des Vignettes, naturale fine tappa di giornata. L'intenzione è quella di allungare questo è la prima grande incognita fino al rifugio Nacamuli, in Valpelline, ad oltre 7 ore di marcia. Una gita lunga, non compatibile col maltempo, a meno di non superare con rapidità i punti chiave del percorso che invece si sono trasformati in una trappola.

I francesi, invece, puntano come da itinerario classico al Vignettes. Entrambi i rifugisti però non si allarmano, pur non vedendo arrivare i rispettivi clienti. Solo l'indomani dal Vignettes scatta l'Sos, dopo che altri scialpinisti hanno colto sul ghiacciaio quel disperato «Help» lanciato da due superstiti semi assiderati. Mentre nessuno ecco la seconda fatalità - li pensava ancora sugli sci, i due gruppi si sono compattati nella tragedia. Rallentati, dopo oltre 4 ore sono solo al col de la Serpentine, in piena tempesta. Difficile aprire le zip degli zaini, guardare una cartina, e quel maledetto Gps muto che impedisce perfino di fare chiamate. Troppo tardi per il Nacamuli, ma anche per l'altro rifugio. «Dal colle il rifugio è quasi visibile spiega un istruttore del Cai, club alpino italiano - si può scendere o per un canale di misto rocce e neve oppure, con sci e, tanto più con maltempo, occorre fare una digressione sul ghiacciaio, aggirando però una vasta zona di crepacci». In entrambi i casi, senza visibilità, i 14 sono in trappola. Se almeno fossero stati in una zona più ampia, avrebbero potuto scavarsi una truna nel ghiaccio e scaldarsi.

E invece terza fatalità ognuno è appeso come può al colle, come un girone di ghiaccio infernale. É a questo punto che Castiglioni, probabilmente, si stacca: sa che in teoria il rifugio non è lontano, vuole chiamare aiuto. Morirà senza che i suoi clienti se ne accorgano. Loro aspettano, mentre il panico si infila anche nei pensieri. «Ciao Polly, la montagna, tuo amante mai nascosto, ti ha preso con se: dacci almeno metà della forza che avevi», sono le parole del marito di una delle vittime.

E i pensieri di tutti quelli che restano.

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