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Ma gli "zero virgola" possono pesare molto

Ma gli "zero virgola" possono pesare molto

I decimali riguardanti il deficit di bilancio, per intenderci gli zero virgola in più o in meno, contano o non contano? Il quesito non è mera materia per ragionieri. È scottante materia politica, che coinvolge le regole del buon governo della cosa pubblica ed è alla ribalta perché la controversia fra la Commissione europea e il nostro governo sulla bozza di legge di Stabilità si basa sul fatto che, per Bruxelles, tale testo ha sforato la soglia consentita per il deficit del bilancio ordinario di alcuni decimali, mentre i tre decimali richiesti per il bilancio straordinario per i profughi e il terremoto non sarebbero tutti convincenti. Il premier fa spallucce, sostenendo che i decimali non contino, non è il caso di discutere degli 0,1%. E pertanto risponde che il bilancio, per il deficit del 2017, rimarrà al 2,3%. La Commissione lo vuole allo al 2%, incluse le spese straordinarie, forse si contenterebbe di 2,1%. Dissento dalla tesi che i decimali del pubblico bilancio «non contano». Innanzitutto contano dal punto di vista etico-politico e da quello del senso comune del contribuente, che dovrà prima o poi pagare questo debito. Lo 0,1 vale circa 1,7 miliardi di euro, non è una bazzecola: tradotti in vecchie lire si tratta di circa 3mila 500 miliardi. Gli italiani sono chiamati a votare un referendum in cui per il «Sì» campeggia la «riduzione dei costi della politica», per un importo minore di 100mila euro. Se le decine di milioni contano per un referendum, su cui il premier ci ha messo faccia, perché i miliardi di euro, nel deficit di bilancio, non contano? Sin qui la domanda della casalinga di Voghera e dell'uomo della strada, dotato di diritto di voto e di obbligo fiscale. I quali, in tale giudizio di buon senso, sono sorretti da un elementare calcolo macro economico, che riguarda il vincolo del bilancio in quasi pareggio, a cui siamo tenuti non solo dal fiscal compact europeo (nella sua struttura, molto discutibile), ma anche dalle attuali norme costituzionali italiane. Ecco il calcolo. Noi abbiamo un rapporto debito/Pil che ha superato il 132%. È il più elevato di Europa e ben lontano da quel traguardo del 60% delle regole di Maastricht, che nessuno rispetta e che non ha riscontro scientifico. Ma è anche più elevato del 100%: un livello che la storia economica e studi recenti giudicano già rischioso. Ora, posto che il nostro Pil nel 2017 cresca dell'1,6% in parte per un aumento reale e in parte per un aumento dei prezzi all'interno e all'importazione (che si profilano entrambi modesti), un deficit del 2,1% manterrebbe invariato il rapporto debito/Pil, in quanto esso è attualmente circa 1,32%. Ora 0,5% è un terzo circa di 132: sommato a 1,6% dà luogo a 2,1%. La soglia per mantenere invariato il rapporto debito /Pil sul 132%. Un deficit di uno 0,1% in più porterebbe a un aumento di tale rapporto, che invece dobbiamo ridurre non tanto per rispetto delle regole europee, quanto per rispetto delle giovani generazioni, su cui peserebbe come un macigno. Un deficit del 2% comporterebbe una chiara riduzione del rapporto debito/Pil. Inoltre una ulteriore riduzione di 0,3% nel 2018 e di altrettanto nel 2019, ci porterebbe al quasi pareggio di 1,4%: un livello che, mantenuto nel tempo, ci porterebbe alla riduzione sostanziosa e automatica del rapporto debito/Pil.

Ciò ci renderebbe liberi di fare la voce grossa con Bruxelles, senza ricever repliche di maestrini e maestrine, perché con una finanza solida l'euro non è un vincolo, ma una opportunità.

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