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Zingaretti rimangia gli insulti. Conte leader dei democratici

Per il leader Pd il premier è "un punto di riferimento per le forze progressiste". La strategia per inglobarlo

Zingaretti rimangia gli insulti. Conte leader dei democratici

«Autorevole, colto e anche veloce e sagace tatticamente». E ancora: «è oggettivamente un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste». Candidato premier del Pd? Magari. È un'intervista al Corriere del segretario dem Nicola Zingaretti ad aprire il caso di giornata, fornendo spunti di riflessione e pettegolezzo ai parlamentari già pronti a partire per le vacanze di Natale. Una strategia, quella di inglobare Conte e il M5s in un nuovo centrosinistra, esplicitata per la prima volta dal leader del Pd attraverso le pagine di un importante quotidiano italiano. Parole al miele che lasciano intravedere scenari impensabili fino all'estate scorsa. Per Zingaretti, il premier Giuseppe Conte è «parte del pensiero democratico». Ma «naturalmente con una sua originalità e autonomia, che per me sono una ricchezza», riflette il segretario.

Parole che piombano, pesanti come macigni, in un M5s in piena crisi d'identità. Nella giornata in cui il deputato palermitano Giorgio Trizzino, di osservanza «contiana» e «mattarelliana», è stato costretto a smentire categoricamente i retroscena che lo vedono come il dominus di un'operazione di Palazzo che porterebbe un manipolo di grillini delusi all'interno di gruppi parlamentari nuovi di zecca, creati apposta per puntellare il governo giallorosso. Nell'operazione, secondo i rumors, sarebbe coinvolto anche il ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti, dato dal Fatto Quotidiano in uscita dal Miur. Ufficialmente perché non sono arrivati i 3 miliardi di euro per la scuola in legge di bilancio. Ma Fioramonti da settimane è al centro del chiacchiericcio degli esponenti delle varie correnti pentastellate, che lo descrivono pronto a brigare per sostituire, quando ci sarà l'occasione, Di Maio alla guida del Movimento. Sotto la pressione di Beppe Grillo e del capo politico pare che Fioramonti stia pensando di non dimettersi più, come pure aveva annunciato in diverse interviste nel caso in cui non fossero state esaudite le sue richieste nella manovra. «Boh, il problema è che ha fatto troppe promesse, ma alla fine tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare», riflettono nei gruppi parlamentari dei Cinque Stelle.

Tutto si incastra nel puzzle del Palazzo. Con Conte che da «servitore dei due padroni» dell'era gialloverde è diventato ormai il centro di gravità permanente intorno a cui ruota il fragile equilibrio giallorosso. Né il premier, né Di Maio ieri hanno commentato la sortita di Zingaretti. Grillo, dopo le sue uscite degli ultimi mesi, è scontato che approvi il disegno di liquefare il M5s in un contenitore ampio di centrosinistra, magari con Conte nelle vesti di candidato premier. E nei conciliaboli degli stellati non è passato inosservato l'omaggio reciproco che si sono scambiati Conte, Grillo e Davide Casaleggio martedì a Roma. «Un'investitura da parte dei padri nobili del Movimento», per alcuni. «Un tentativo di sottrarre la figura di Conte dall'influenza del Pd», per altri.

Eppure fino alla crisi di agosto, le cose stavano molto diversamente. Non si contano gli sberleffi di Matteo Renzi e gli sfottò del Pd al gran completo nei confronti dell'allora premier gialloverde. Neppure Zingaretti, all'epoca, si è sottratto. A titolo di esempio, il 26 maggio del 2018, «Zinga» parlava così di Conte: «C'è chi ha scelto di fare l'avvocato delle paure e di rappresentare quelle paure».

Lo stesso che ora è il punto di riferimento dei progressisti.

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