Polo in calo al Sud a Forza Italia serve una scossa

Pietro Mancini

Per Repubblica la colpa è sempre e solo di Silvio Berlusconi. Anche per essersi permesso di fare qualche passeggiata sul lungomare di Napoli e di aver stretto le mani dei cittadini, nell’imminenza della sfida lanciata dal senatore azzurro ed ex questore Franco Malvano alla settantenne ex demitiana di lungo corso donna Rosetta Jervolino, che i simpatici partenopei dovranno sopportare per un altro lungo lustro.
Ma c’è un bravo medico come Sergio Bartoletti, candidato a sindaco degli azzurri a Cosenza, che nella campagna elettorale il Cavaliere non l’ha proprio incontrato. E che domenica scorsa ha visto travolta la sua candidatura e tutto il centrodestra da un vero e proprio tsunami: dal trionfo delle politiche del 9 aprile (poco meno del 50%) a un deprimente 15% delle amministrative. Un’ecatombe di consensi che nella città confermatasi la più socialista d’Italia ha spianato la strada al successo al primo turno di un candidato della spregiudicata alleanza di potere tra ex Dc ed ex Pci, che hanno occupato tutte le poltrone e gli strapuntini che contano in Calabria.
La realtà, dunque, è ben diversa da quella cucinata dai cuochi del giornale di Scalfari e Mauro, che hanno scodellato in tavola la solita insipida minestra, buona in tutte le occasioni: attribuire tutte le evidenti e non lievi difficoltà del Polo al presunto declino del «carisma del signore di Arcore». E invece le sconfitte della Cdl a Cosenza, a Napoli, a Salerno, a Reggio Calabria e in altre città del Sud segnalano la quasi drammatica carenza di un’incisiva organizzazione. In occasione delle grandi scelte in ballo in occasione delle consultazioni politiche, l’elettorato di centrodestra mobilitato dal Cavaliere riesce a scuotersi dal suo quasi fisiologico torpore e a competere alla pari con gli avversari. Ma quando si tratta di scegliere il nuovo sindaco o il presidente dell’amministrazione provinciale o il governatore, (tranne che in Sicilia, dove Miccichè, Prestigiacomo e Alfano sono riusciti efficacemente a radicarsi) nella dirigenza del movimento azzurro si rivelano tutti quei gravi difetti, tipici del vecchio notabilato meridionale: il trasformismo, il trasversalismo, la tendenza a scambiare i voti con gli avversari in cambio di promesse, fatte ma non sempre mantenute, di future poltrone.
Mentre gli ex comunisti e gli ex dc nelle città riescono a mettere a frutto legami solidi con i vari interessi delle collettività locali, la destra paga un prezzo carissimo all’incapacità dei propri arroganti capetti di riuscire a farsi stimare e apprezzare dai propri concittadini. Così come quella di competere con gli avversari sui temi dell’etica pubblica, della trasparenza, della competenza e dell’onestà. E se l’elettore non riesce a cogliere più con chiarezza il movimento fondato da Silvio Berlusconi come quella forza che si distingueva dalla partitocrazia, ma vede i capi azzurri confusi e omologati con quelli degli altri partiti, sceglie la sinistra.
In Parlamento serve un’opposizione efficace e meglio coordinata sulle grandi questioni che interessano maggiormente l’elettorato di centrodestra. Guai a perdere di vista, smarrendosi dietro falsi e artificiosi dilemmi sulla innegabile leadership di Berlusconi, la pressante necessità di liberare Forza Italia dalla zavorra che nelle città e nelle regioni sta appesantendo le sue strutture. A casa, e subito, i mestieranti, gli affaristi e i professionisti della politica. Quelli che ormai sono diventati, come ha ammesso Luca Cordero di Montezemolo, la prima industria improduttiva e clientelare del Paese. E disco verde alla linfa preziosa e vitale che può essere portata da nuovi dirigenti, più preparati, più qualificati e più capaci.

Che siano in grado di rilanciare il sogno del 1994: far crescere in questo Paese, ancora pesantemente condizionato da una pesante egemonia cattocomunista, una cultura e un’economia liberale e una classe dirigente moderna e alternativa a quella conservatrice e arraffatutto della sinistra.

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