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«Potrei ubriacarmi per la prima volta in vita mia»

RomaLegge i lanci d’agenzia e spilucca un tramezzino. Ma soprattutto sorride, Ignazio La Russa, prima di lasciare via dell’Umiltà per il briefing a Palazzo Chigi con il Cavaliere. D’altronde, è già «ultrasoddisfatto», alle nove di sera, quando è ancora testa a testa sia nel Lazio che in Piemonte. «Se portassimo a casa quattro Regioni avremmo raddoppiato il dato di partenza. Puntiamo magari a cinque, e se vincesse pure Renata Polverini sarebbe un miracolo senza precedenti. Mi ubriacherei, cosa che non ho mai fatto in vita mia». Ipotesi che si realizzerà presto, visto che il «miracolo a Roma» in tarda serata diviene realtà. Insomma, il coordinatore del Pdl gongola. E non per lo scampato pericolo gastrointestinale: «L’asino vivo non lo mangio, avevo ragione io, visto che la scommessa prevedeva il sorpasso della Lega in tutto il Nord». Niente polenta per contorno, quindi, come consigliano, beffardi, quelli del Carroccio. «Ripeto, ho azzeccato il pronostico. E non ho mai detto nulla sul Veneto».
Perché, ministro?
«Era ovvio che lì ci avrebbero superato. Tanto che, sul confronto tra noi e loro, non mi sarei giocato neppure una scatola di cioccolatini. E non a caso abbiamo sottoscritto prima del voto l’accordo su giunta e assessori».
Però è anche vero che il Pdl, in percentuali assolute, ha perso qualcosina per strada.
«È un’analisi sbagliata. Manca il riferimento ai tre milioni di elettori romani che non hanno trovato il nostro simbolo sulla scheda. Si tratta di due-tre punti nazionali. E poi ci sono altri due aspetti fondamentali».
Quali?
«Se si fosse votato per le Politiche, i risultati maturati avrebbero testimoniato una straordinaria vittoria del centrodestra. Senza contare che già governiamo in altre Regioni in cui si è andati alle urne in precedenza, vedi Sicilia, Sardegna e Abruzzo. Intendo dire che in quel caso l’affluenza sarebbe stata più alta, anche se, a onor del vero, non si è discostata di molto da quella delle Europee. E comunque la si giri, quella che doveva essere una sconfitta per il governo, in elezioni di medio termine che di solito avvantaggiano l’opposizione, si è trasformata in un assoluto successo per noi. Speravano che prendessimo schiaffi, ma non abbiamo offerto l’altra guancia. Con buona pace di chi prospettava un affossamento per Berlusconi e Pdl».
A proposito del premier, è stato un referendum pro o contro?
«L’hanno voluto gli altri. Lui ha accettato e ha vinto».
Torniamo al Pdl e alla competizione con la Lega.
«Noi non abbiamo giocato per ottenere un risultato tondo, tant’è vero che abbiamo dato loro due candidati governatori in regioni importantissime. Il nostro obiettivo era far vincere il centrodestra e sono contento che sia andata bene a tutti. D’altronde, quando i soggetti in campo sono due, e non quattro come nel 2005, è inevitabile che tendano ad avvicinarsi».
Nulla da obiettare?
«No, forse c’è qualcosa su cui riflettere».
Si spieghi.
«Mentre al centro-sud abbiamo dimostrato di saper competere con il centrosinistra, in fatto di radicamento nel territorio, nelle regioni settentrionali non è andata così e la Lega si è inevitabilmente avvantaggiata».
In che modo?
«Ci siamo un po’ tutti adagiati, sulla scia dell’azione carismatica vincente di Berlusconi, come se ci fosse ancora il vecchio schema Forza Italia e An, con il secondo soggetto maggiormente impegnato nella competizione territoriale. Non è colpa di nessuno, ci siamo avvicinati tutti al modello di campagna elettorale del partito più grande. Dobbiamo pensare che l’automatismo va integrato».
Pensa a qualcosa di specifico?
«Ci sto ancora riflettendo. Chissà, magari potremmo immaginare una struttura sovraregionale del Pdl, che guardi direttamente al Nord».
A proposito di Nord, se l’Udc avesse appoggiato Biasotti...
«Casini ha sbagliato il calcolo delle convenienze. E in realtà il suo vero obiettivo, fallito, era frenare il Pdl, visto che in Liguria non c’è un leghista candidato. Contenti loro... Ma la conseguenza più grave è che hanno regalato la Puglia alla sinistra, pronosticando consensi record della Poli Bortone, che poi non ha avuto».
E il Pd, come ne esce?
«Il Pd? Direi non pervenuto. Forse adesso avrà capito di aver sbagliato a legarsi a Di Pietro e company.

Perché con la radicalizzazione dello scontro, ci hanno guadagnato solo gli altri».

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