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Preso un black bloc: poteva uccidere Andava nella Val di Susa blindata

Fermato uno studente che ha bruciato la camionetta dei carabinieri: è accusato anche di tentato omicidio. Il 23enne risiede ad Ariano Iripino e studia a Chieti. Oggi la minaccia degli anarchici ai cantieri dell'Alta velocità, 2mila agenti schierati per controlli e posti di blocco. No Tav decisi a violare la zona rossa. FOTO - VIDEO

Preso un black bloc: poteva uccidere  
Andava nella Val di Susa blindata

nostro inviato a Giaglione (To)

L’hanno fermato pronto a partire per la Val Susa e menare le mani mescolato tra i No Tav. Leonardo Vecchiolla, 23 anni, fa parte di quella schiera di giovani violenti che gira l’Italia per infiltrarsi nelle manifestazioni e colpire. Secondo i carabinieri dei Ros che l’hanno riconosciuto e ammanettato (le accuse sono tentato omicidio, devastazione e saccheggio), sabato era a Roma tra gli indignati che hanno assalito e incendiato il blindato dell’Arma: uno degli episodi simbolo dei disordini. È di Benevento, risiede ad Ariano Iripino, studia a Chieti. Che cosa c’entri con Roma, la Val Susa e i treni veloci, non si sa.
In Piemonte Vecchiolla aveva già partecipato ad altre azioni violente. A Roma ha dimostrato abilità nella guerriglia: la camionetta è stata conquistata a colpi di molotov, travi e sampietrini, circondata e data alle fiamme. È stato identificato grazie alle foto e ai filmati dell’assalto, ma si è tradito con una telefonata intercettata dai carabinieri di Ariano Irpino: «Hai visto cosa ho combinato a Roma?», ha detto. Il blitz dei Ros nella stanza dello studentato a poche centinaia di metri dal campus universitario ha lasciato basiti i suoi colleghi, che l’hanno definito «un tipo tranquillo».
I No Tav, che erano pronti ad accogliere Vecchiolla con loro, non si sono scomposti. Un militante in meno non cambia i piani annunciati da giorni: attaccare l’odiato cantiere per il tunnel ferroviario dell’alta velocità. È un cantiere modesto, da mesi vi si svolgono lavori preparatori alla trivellazione vera e propria. Si trova nel fondovalle della Dora, distante da strade e abitazioni, non lontano da una centrale idroelettrica Enel, a metà strada tra le località di Chiomonte e Giaglione. È uno scavo da nulla rispetto alle cave che sventrano l’ingresso della valle ad Avigliana, ma è un simbolo. Contro questo avamposto si concentra la protesta.
A luglio a Chiomonte scoppiarono scontri durissimi. I muraglioni delle strade sono ancora imbrattati di insulti alla polizia. Una roulotte di contestatori non abbandona il prato che fu teatro della guerriglia. Un ponticello sulla Dora conduce alle inferriate d’ingresso alla centrale: da ieri il collegamento è sbarrato da tre blocchi di new-jersey sormontati da griglie d’acciaio alte tre metri avvolti di filo spinato. Poliziotti e militari in tuta mimetica sorvegliano dall’alto la scena.
Da luglio la zona dei lavori è off-limits. Recinzioni, posti di blocco, controlli. Oggi l’obiettivo dei dimostranti sono proprio le reti metalliche. Le vogliono tagliare e cercheranno di farlo con ogni mezzo, come ripetono i siti dei No Tav e degli anarchici. Un gesto simbolico anche questo, ma illegale. Stamattina i manifestanti non si riuniranno a Chiomonte ma al campo di calcio di Giaglione, dove ieri pomeriggio senza troppo agonismo si giocava una partita davanti a poche decine di spettatori. I militanti erano ancora meno, radunati nel parcheggio accanto alla baita degli alpini presidiato dai furgoni delle tv. Da lì si muoverà il corteo verso il cantiere: è una strada lunga che taglia un pendio e diventa mulattiera.
Gli uomini schierati per garantire l’ordine controllano ogni via di accesso e sono sguinzagliati anche nei boschi. I maggiori pericoli arriveranno dalle pattuglie di estremisti che attraverseranno la montagna per aggirare i posti di blocco. Ma gruppi di contestatori si raduneranno anche a valle, al ponte di Chiomonte, per forzare anche quei cordoni di sicurezza. Hanno una postazione all’interno della «zona rossa», una baita piantonata a turno dove le forze di polizia hanno concesso a una ventina di No Tav di passare la notte.
La valle vive in silenzio questa vigilia di tensione. Da Torino a Susa, le pattuglie lungo la statale sembrano svolgere controlli di routine. Ma appena la strada s’inerpica, a ogni bivio ecco apparire i blindati e le divise scure. Le auto vengono fermate, i bagagliai ispezionati, gli occupanti controllati, compresi i residenti. Succede a ogni posto di blocco. In cielo volteggiano gli elicotteri. La gente del posto ormai ha imparato a tacere, chi parla preferisce l’anonimato. «I No Tav? Una minoranza - dice un artigiano - e sono tutte persone benestanti: impiegati, professionisti, pensionati. Gli artigiani e gli operai dell’indotto Fiat ora disoccupati vogliono i treni veloci, i cantieri garantiscono posti di lavoro.

Ma i No Tav hanno creato un clima di intimidazione».

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