Cultura e Spettacoli

Preziosi fa Amleto: «La tv mi ha lanciato il teatro è il mio ring»

L’attore debutta martedì a Verona. «Il successo sullo schermo mi aiuta, ma conosco il palcoscenico»

Inizia dopodomani al Teatro Romano di Verona, nella cornice dell'Estate Teatrale Veronese-Festival Shakespeariano (alla sua edizione numero 60), la tournée, che lo stesso attore definisce «lunga e consistente», di Amleto, con Alessandro Preziosi nel ruolo principale, affiancato da Silvio Orlando (Polonio), Franco Branciaroli (Claudio), Carla Cassola (Gertrude), diretti da Armando Pugliese.
Preziosi, come sarà il suo Amleto?
«Un Amleto al passo con i tempi, sia per le scelte di regia sia per la traduzione adottata, che è quella di Eugenio Montale, ricca di una grande musicalità. Sarà un Amleto poco tradizionale, meno edipico, struggente, romantico rispetto alla tradizione, più intellettuale, immerso nella cultura dell'epoca, che era quella per esempio di Francesco Bacone. Tuttavia questo intellettuale è così imbrigliato nell’argomentazione, nella riflessione da non riuscire a scegliere per un’azione libera e sciolta da condizionamenti».
Un Amleto irretito dall’incertezza?
«Più che altro incerto di fronte alle infinite possibilità del reale. Prigioniero di un groviglio culturale, intellettuale».
Oltre che interprete principale, lei è anche tra i produttori dello spettacolo. Perché avete deciso di ridurre il testo da circa quattro, come durerebbe normalmente, a due ore?
«Non parlerei di riduzione, ma di concentrazione degli elementi. Le parti tagliate non scompaiono, sono riassorbite dal testo, sono leggibili tra le righe, nei grandi tasselli individuati dal regista: quello politico, ma anche quello umano e quello filosofico. I protagonisti possono essere raggruppati in tre grandi nuclei: la corte, quindi Gertrude, Claudio, Polonio, Ofelia; gli studenti e amici di Amleto, portatori della cultura baconiana; gli attori che aiuteranno Amleto a smascherare il regicidio, trait d'union tra i primi due gruppi e portatori della speranza della modernità».
Non temete le proteste dei puristi o comunque dei cultori appassionati del Bardo?
«Al contrario, spero che i puristi apprezzino il nostro tentativo di lasciare un’impronta precisa, di rendere Amleto meno intricato e più fruibile. Senza volerlo abbiamo rispettato le regole aristoteliche: l’azione si svolge quasi solo in una notte e in uno stesso luogo».
In questo lavoro di concentrazione, avete però rispettato i celebri monologhi, «Essere o non essere», «Povero Yorick» e così via?
«Anzi, la regia li ha resi meno astratti, non li ha mai messi tra parentesi tra una scena e l'altra, ma anzi sono agganciati all'azione: così dopo aver parlato con Polonio, Amleto riflette se agire, distruggere tutto e poi morire o se non fare nulla e così via».
Avete scelto, come spesso capita di vedere, un'ambientazione contemporanea?
«Non sarà un’ambientazione precisa, anche se nella colonna sonora ci saranno brani dei Massive Attack e ci siamo ispirati ad Hamletmaschine di Heiner Müller».
La popolarità che le deriva dalla tv e dal cinema quante persone in più porta a teatro?
«Sarei ipocrita se lo negassi, anche se io faccio teatro da dieci anni, da quando, guardacaso, interpretai Laerte in un Amleto diretto da Antonio Calenda con protagonista Kim Rossi Stuart».
Tuttavia la fama ormai difficilmente arriva solo facendo teatro...
«Dipende quanto si è avidi. Se si è affamati di popolarità allora il teatro sembrerà una partita a tennis con gli amici e la tv o il cinema, a confronto, Wimbledon o gli Internazionali d'Italia... Ma la popolarità teatrale è quella più straordinaria».
Riti scaramantici prima di andare in scena?
«Riti no, non più, però corro molto, dietro le quinte, per scaricare la tensione, l’energia in eccesso.

Ho sempre paura di strafare e quando vado in scena penso agli incontri di boxe, in cui bisogna arrivare alla fine mantenendo le forze e la lucidità».

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