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Primarie pd nel caos, accuse di brogli ai seggi

Bologna«Comunque vada sarà un successo», così Chiambretti salutava gli artisti sul palco del Festival di Sanremo. Ecco, a ben guardare, difficilmente si potrà dire lo stesso per quanto riguarda il festival delle primarie del centrosinistra andato in scena ieri.
Dopo la tregua tra le anime del Pd siglata a Torino, non c’è pace per il segretario Pier Luigi Bersani. In una fredda domenica di gennaio Bologna e Napoli più che una competizione elettorale hanno raccontato una gara di nervi. Lo scandalo dei rifiuti alle pendici del Vesuvio e un anno di commissariamento a Bologna, in seguito alle dimissioni del sindaco Flavio Delbono, sono gli scheletri nell’armadio dei democratici in cerca di riscatto. Intanto però il partito fa i conti con le guerre intestine e con l’effetto Vendola dietro l’angolo. La realtà partenopea ieri ha regalato nuove polemiche sui brogli ai seggi. I quattro candidati si sono accusati a vicenda in una resa dei conti interna. Protagonisti gli ex Pci bassoliniani Andrea Cozzolino, ex assessore regionale all’Agricoltura, e Nicola Oddati, assessore comunale alla Cultura e l’ex sottosegretario agli Esteri Umberto Ranieri, vicino al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Tra loro, il vendoliano Libero Mancuso, ex magistrato con una parentesi nella giunta di Sergio Cofferati a Bologna. L’allarme «brogli» lo hanno lanciano i consiglieri regionali del Pd Corrado Gabriele e Angela Cortese. «Questa mattina abbiamo avuto modo di verificare che in alcuni seggi a Scampia, a Barra e nel quartiere di San Carlo all’Arena personaggi estranei al Pd condizionano il voto portando a votare persone in cambio di banconote». Stesso ritornello per Cozzolino e Mancuso. «Abbiamo chiesto che le situazioni sospette venissero accertate», ha rincarato il vendoliano aggiungendo che venisse ascoltato l’allarme già lanciato dal segretario del Pd. Insomma, ha concluso Mancuso, la situazione «è tornata sotto controllo quando sono diminuiti i votanti. L’ex magistrato al telefono sospira: «Il risultato finale va tutto valutato al netto dei tentativi di mettere la sordina alle primarie da parte del segretario nazionale del Pd».
Seicento chilometri più a Nord, nel sempre meno bonario capoluogo emiliano, il «partitone» ha tenuto il fiato fino all’ultimo. Durante la campagna era stato proprio il candidato del Pd Virginio Merola (in largo vantaggio secondo i primi exit poll) a lamentarsi con più forza della discussione interna al Pd sul valore delle primarie quando in città ormai non si poteva più tornare indietro. E a fare da guastatore a un clima già sufficientemente sfiduciato ci si è messa anche la famiglia Prodi al gran completo. Il clan prodiano è con Amelia Frascaroli, assieme alla Federazione della Sinistra e Sel. Lei incarna lo spauracchio dell’effetto Vendola anche su Bologna. Ieri Romano Prodi e signora si sono presentati al seggio poco prima delle 13. Lui aveva ancora in tasca il biglietto dell’aereo che lo aveva riportato in Italia dalla Cina. Senza dubbio il risultato inaspettato dell’affluenza (hanno votato in 28.300, più che nel 2008) ha dato ossigeno, ma a conti fatti, non è bastata la correzione operata sullo statuto delle primarie e i buoni propositi regalati al Lingotto per dare pace a un partito in piena tempesta.

Soprattutto se si considera che il conto post primarie, nelle segreterie verrà presentato sul piatto delle secondarie.

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