LA PROVOCAZIONE

È tempo di decisioni forti e immediate. La crescente crisi dei mercati finanziari con i suoi effetti devastanti sul risparmio e sull'economia reale è di tale portata da richiedere risposte senza precedenti. Bene ha fatto il congresso americano ad approvare il piano di salvataggio per 700 miliardi di dollari e bene hanno fatto Nicolas Sarkozy, Silvio Berlusconi, Angela Merkel e Gordon Brown nel riaffermare la concertazione dei governi europei in tutte le iniziative necessarie per fronteggiare lo tsunami finanziario. Passi positivi ma ancora insufficienti per dare stabilità ai mercati avvelenati da 15 anni di speculazioni e spesso di intrecci illeciti tra i vari protagonisti del neo-capitalismo finanziario. Avremo tempo e modo per ragionare di responsabilità. Oggi però è tempo di decisioni.
Il crollo dei mercati è tale da suggerire l'immediata chiusura delle borse europee e possibilmente di quelle americane per almeno 7 giorni. L'attentato alle torri gemelle dell'11 Settembre del 2001 impose la chiusura di Wall Street per due giorni. Ciò che sta accadendo è di gran lunga più devastante. In questi anni gli speculatori di ogni risma e la sfrenata avidità di chi era ricco e voleva diventare ancora più ricco trasformando, in un delirio di onnipotenza, la ricchezza finanziaria in un nuovo potere globale, politico e culturale ha finito per mettere veri e propri ordigni esplosivi alla base dei pilastri del sistema finanziario internazionale. E oggi tutto crolla. Una settimana di chiusura delle borse avrebbe innanzitutto il valore di tutelare il risparmio investito da chi specula sul disastro dopo averlo prodotto con le proprie precedenti speculazioni.
Gli sciacalli di oggi, insomma, sono gli speculatori di ieri e vanno subito fermati. Sette giorni di tempo possono, poi, essere sufficienti per imporre nuove regole a cominciare dal far diventare permanenti quelle misure adottate in questi giorni come quella di sospendere le cosiddette vendite allo scoperto. Nuove regole per mettere finalmente in riga i mercati spazzando via tutti quei prodotti finanziari la cui natura e la cui rischiosità sono incomprensibili o intollerabili e avviare una grande operazione di pulizia e di verità nei bilanci bancari. Nuove e più stringenti regole per separare il mercato retail, quello dove sono protagonisti i piccoli risparmiatori da quello istituzionale dove operano banche e fondi. Immediato rilancio di forti agevolazioni fiscali per consentire massicce ricapitalizzazioni degli istituti di credito impedendo così che grandi banche come l'Unicredit lancino prestiti obbligazionari pagando tassi di interesse vicino al 10%. Il messaggio che ha dato agli operatori la banca di Alessandro Profumo è stato quello di essere ormai alla frutta tanto da essere disposto a pagare un tasso di interesse più vicino all'usura che non a quello di mercato. E dispiace che gli azionisti di Unicredit non si siano resi conto che l'urgenza di oggi più che salvare i dividendi ancorché sotto forma di nuove azioni, è quella di salvare la banca.
Sette giorni di chiusura delle borse possono dunque dare il tempo per varare nuove regole, disporre agevolazioni fiscali per ricapitalizzare banche e imprese, organizzare anche interventi di salvataggio di quelle banche a rischio di fallimento licenziandone, naturalmente, i dirigenti responsabili e attivare misure per sostenere la crisi dell'economia reale. La posta in gioco è altissima. Innanzitutto salvare quell'economia di mercato il cui valore è irrinunciabile e che in questi anni è stato messo sotto i piedi dall'avidità di molti e da un pensiero politico debole e genuflesso dinanzi al potere del denaro. Mai come in questa occasione il tempo non è una variabile indipendente e quella che oggi può apparire una mossa pericolosa come la chiusura temporanea delle borse può essere invece l'occasione di una svolta virtuosa. È una partita difficile e delicata tra i due protagonisti di sempre nella storia dell'uomo, la politica e il danaro.

Se dovesse vincere il secondo avremmo un lungo intollerabile periodo di oscurantismo nel quale recessione e autoritarismo sarebbero le due facce di una stessa medaglia.

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