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«Pugnalata» di 12 centimetri in mare È sempre un giallo la morte del rugbista

L’autopsia: deceduto per emorragia. Forse è stato colpito da una razza. Gli esperti: «Impossibile, potrebbe essersi ferito con un cacciavite o un punteruolo»

Daniele Casale

da Olbia

Un'emorragia interna: la sua arteria iliaca è stata recisa mentre domenica nuotava nel mare della Costa Smeralda. Michele Arnulfo, 15 anni di Genova, in vacanza in Sardegna da un paio di giorni, è morto così: trafitto da qualcosa in acqua. Che cosa è ancora un mistero. Forse dalla coda micidiale di una Pastinaca, una specie di razza.
Ieri l'esame autoptico ha svelato che al giovane atleta è stata fatale un'emorragia. Una ferita che in pochi minuti gli ha fatto perdere i sensi e poi gli ha tolto la vita. Il medico legale sassarese Salvatore Lorenzoni, incaricato dalla Procura della Repubblica di Tempio, ha stabilito la causa della morte. In ogni caso, sulla vicenda che ha sconvolto questo inizio d’estate della costa dei vip, ci sono ancora dettagli non del tutto chiari. Tanto che gli inquirenti, al momento, non ne vogliono sapere di mettere la parola fine. A parte quella di una Pastinaca, una particolare specie di razza tipica dei mari sardi, non vengono scartate altre ipotesi: a trafiggere il nuotatore potrebbe essere stata una fiocina o un coltello, magari adagiato sul fondo. Anche se un primo esame del fondale non ha dato risposte in tal senso. Inoltre, tra domenica pomeriggio, a poche ore dalla tragedia, e ieri, i magistrati hanno sentito una decina di persone, familiari e amici che a bordo dello yacht su cui era imbarcato Arnulfo hanno assistito alla sua rapida morte.
In ogni caso, la versione fornita agli inquirenti è stata univoca: il giovane rugbista genovese si era tuffato dalla barca nelle acque trasparenti di Liscia Ruja, una delle più frequentate della Costa: «Ho visto un bel pesce sul fondo, gli do un'occhiata e risalgo». Potrebbe essere stato la razza che l'ha punto. La Pastinaca, appunto, che quando si sente minacciata, reagisce attaccando a sua volta, attorcigliandosi alla vittima e ferendola con la coda che usa coma una frusta. Uno squaliforme ben conosciuto dai pescatori della Gallura, che raggiunge un'apertura alare di un metro e mezzo e può pesare fino a 200 chili. Micidiale la sua coda, dove sono nascosti dei dentini a forma di uncino. Dopo quel tuffo, Michele è riemerso con un piccolo taglio, a prima vista insignificante. Tanto che lui stesso, di nuovo a bordo, aveva voluto tranquillizzare tutti: «Non preoccupatevi, tutto a posto».
Così, purtroppo, non è stato perché già mezzora dopo quelle parole l'adolescente genovese aveva perso i sensi. Immediato l'allarme da un cellulare al 118. Nel frattempo il panfilo ha guadagnato la riva, ma quando il ragazzo è stato trasferito nell'ambulanza, dopo che da uno yacht inglese gli avevano dati i primi soccorsi (con un defibrillatore), le sue condizioni erano già critiche: è spirato prima di arrivare in ospedale. Nelle prossime ore potrebbe arrivare il verdetto, anche se i funerali del ragazzo sono stati già fissati nella chiesa di Santa Teresa, a Genova, per giovedì.
Il giallo però resta. Alimentato dalle dichiarazioni di Antonio Di Natale, responsabile scientifico dell'Acquario di Genova: «È altamente improbabile che la ferita che ha provocato la morte di Michele Arnulfo sia stata causata dall'aculeo di un pesce. Infatti qualsiasi ferita provocata da un organismo marino conterrebbe al suo interno tracce di tipo fisico o biologico inequivocabili e facilmente riscontrabili in sede di autopsia. È stato ferito da un oggetto cilindrico. Non una fiocina le cui alette avrebbero lasciato una traccia e penserei invece ad un cacciavite o un punteruolo. È poi strano che, secondo le testimonianze riportate - conclude Antonio Di Natale - il ragazzo appena riemerso abbia cercato di tranquillizzare i congiunti dicendo “non è niente”. Se fosse stato attaccato da un pesce credo che l'avrebbe detto subito. Ho sentito dire che Michele stesse andando a caccia di polpi.

Occorre accertare che cosa avesse in mano».

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