Roma

Quando corteggiare è un’arte

L’incontro, il batticuore, l’abbandono al sentimento. Poi baci, abbracci e amplessi, tra passione della carne e «istituzione» del matrimonio. Quella del corteggiamento è una vera e propria arte che, non a caso, la stessa arte celebra, soprattutto a Roma con le molte opere che, nei suoi musei, illustrano i diversi stadi dell’amore, offrendo utili «spunti» per un tour nell’emozione. Si comincia dall’incontro. Luigi Fioroni illustra quello tra Antonio e Cleopatra nella Camera Egizia del Casino Nobile di Villa Torlonia. Nella sala è affrescata la parabola della relazione tra i due che prende le mosse dal momento in cui si vedono e innamorano - Antonio è in piedi, lei sul baldacchino regale - per poi vedere la coppia sul trono e, infine, Cleopatra in ginocchio davanti all'uomo, senza più «titoli» da affermare se non quello del sentimento, in un vertiginoso ribaltamento delle parti. D’altro tenore il corteggiamento tra popolani raccontato da Bartolomeo Pinelli nell’acquerello «Scena galante», a Palazzo Braschi: l’uomo guarda la donna che si finge disinteressata, lui è proteso in avanti per avvicinarsi, tentativo che lei legittima rimanendo ferma, a dimostrazione del suo compiacimento di corteggiata. Stessi autore e museo per il «Saltarello». Il ballo era il pretesto festaiolo che molti romani usavano per sedurre. D’altronde, erano i passi stessi a prevedere la resa della donna, in un costante gioco di vicinanze tentate da lui e distanze prese da lei, che si concludeva con figure di coppia. Vinte le ritrosie, il corteggiamento si fa più «intenso» e l’occhio cede il passo alla pelle. È un abbraccio-nodo, che di due persone fa un unico gruppo di marmo, la scultura «L’abisso» di Pietro Canonica, nel museo che gli è intitolato a Villa Borghese. L’abisso del titolo è quello della passione su cui si affacciano gli amanti, chiamati a stringersi l’uno all’altra per affrontarlo senza il timore dell’abbandono. Più delicato l’abbraccio di «Amore e Psiche», gesso di Carlo Voss all’Accademia nazionale di San Luca, che sembra confermare la relazione tra gli innamorati, cogliendola nel momento-simbolo del perdono dei malintesi. È quando Psiche non rispetta il divieto del compagno di guardarlo alla luce che nasce il vero amore. La lanterna che mostra la natura divina di Eros, svela, infatti, pure quella del rapporto: Psiche ha sfidato l’ira che credeva umana, Eros quella divina della madre, gelosa. Nei rispettivi tradimenti riposa paradossalmente la reciproca fiducia, raccontata con la mollezza delle braccia di lei attorno al collo di lui. Non manca la «sfida» tra corteggiatori. È il caso di «Ercole e Deianira», terracotta di Pietro Finelli, anche questa nelle collezioni dell’Accademia e raffigurante un abbraccio, che, però, stavolta è il premio per Ercole, che ha sfidato e vinto il rivale Acheloo. A traguardo raggiunto, l’arte celebra l’unione nelle sue diverse espressioni. È attrazione cieca e trascendente, ai limiti dell’innocenza, quella di «Apollo e Dafne», alla Galleria Borghese, opera di Gian Lorenzo Bernini che firma anche il più violento «Ratto di Proserpina», dove la passione sembra non lasciare scampo a nessuno in un più ampio - e forse, alto - gioco delle parti. Esce dal mito per entrare nella carnalità del quotidiano il coperchio di specchio bronzeo del I secolo, conservato ai musei Capitolini, con il rilievo dell’amplesso di una coppia. A secoli di distanza è sempre il bronzo il materiale scelto da Giacomo Manzù per i suoi «Grandi amanti», al museo Manzù di Ardea, che lega le figure a comporre una sfera, rimandando al mito antico dell’uomo e della donna come originarie metà di un unico corpo, diviso dall'invidia degli dei. Separate per odio è per amore e nell’amore che le metà si ricompongono. Dall’amplesso all’estasi. Sono stati molti i critici, incluso il marchese de Sade, che nei secoli hanno avanzato, e ancora avanzano, dubbi sulla spiritualità dell’«Estasi di Santa Teresa» di Bernini nella chiesa di Santa Maria della Vittoria. Lungi dal raffigurare la rivelazione divina, la scultura sarebbe ispirata a un più comune e decisamente terreno godimento. Il corteggiamento si chiude con due possibili finali, dal matrimonio all'abbandono. Il rito con i suoi simboli è protagonista delle «Nozze Aldobrandini», ai Vaticani, ed è ricordato nella sua quotidianità nel Sarcofago degli Sposi al museo etrusco di Villa Giulia. È forzato dalla storia e dal fato l’addio di Ettore e Andromaca, nella scultura di Giorgio De Chirico, tiratura limitata da un originale del 1966, al museo Carlo Bilotti. L’imminenza della fine è la tragedia che scuote anima e veste di Andromaca, stretta per l’ultima volta al marito. Nei diversi atteggiamenti delle figure è la solitudine della coppia spezzata, tornata a essere solo casuale vicinanza di due individui.

L’amore finisce ma il corteggiamento continua di opera in opera, per sedurre, in primo luogo, gli osservatori.

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