Cultura e Spettacoli

Quando i faraoni vanno al night club

L’allestimento scenografico dell’Egizio di Torino riaccende il dibattito sull’arte spettacolarizzata. La storica Mottola Molfino: "No a strutture fuorvianti, diamo spazio alle opere"

Quando i faraoni vanno al night club

Musei tradizionali o scenografici? La domanda viene spontanea dopo le polemiche esplose già all’inizio dell’estate, sul futuro allestimento del Museo Egizio di Torino, da concludersi entro il 2013. Pietra dello scandalo, l’ormai famoso Statuario del museo, la cui fantasiosa scenografia creata nel 2006 da Dante Ferretti, ha suscitato perplessità e reazioni opposte. Il pubblico, soprattutto quello più giovane, si entusiasma di fronte alla tenebrosa atmosfera dell’ambiente in cui gigantesche statue si offrono ai visitatori riflesse in grandi specchi bronzei.

Critici, storici dell’arte e altri addetti ai lavori storcono invece il naso. I faraoni al night club? Alessandro Roccati, dal 23 marzo presidente del comitato scientifico della Fondazione Antichità Egizie, ha criticato l’eccessiva spettacolarità a danno della scientificità. «Non mi lascia tranquillo la presenza di Ferretti tra i consulenti della ditta che ha vinto l’appalto per il nuovo museo. Ammetto che i sistemi di allestimento debbano stare al passo con i tempi, ma immergere le statue nel buio non rende giustizia alla bellezza di oggetti creati per stare nella luce vivida dell’Africa». La gara per la realizzazione del nuovo allestimento museale è stata infatti vinta dal progetto dello studio di architettura Isola che annovera fra i collaboratori il celebre scenografo due volte premio Oscar.

Ferretti naturalmente difende la sua scelta: «Una prospettiva diversa, misteriosa, una visione notturna, illuminata in maniera “stellare”» in un mondo, l’antico Egitto, in cui non c’era soltanto lo splendore del sole ma anche una società dominata dal culto della morte e bui interni di tombe e piramidi. Dalla sua parte sta anche la direttrice del Museo Egizio Elena Vassilika, che sfodera le cifre: «Quasi 600mila visitatori nel primo anno, confermati nei successivi e sempre in crescita».

Invano, perché se si chiede un giudizio a esperti di musei, raramente lo si incontra favorevole alla attuale scenografia dello Statuario: «Le statue vanno viste in pieno sole e non al buio» sostiene Alessandra Mottola Molfino, museologa e storica dell’arte, «e poi i defunti si saranno rivoltati nella tomba a vedere negli specchi le parti posteriori delle statue... Insomma, è tutto sbagliato dal punto di vista storico-critico». Dello stesso parere è Daniele Jalla, dirigente del Settore musei e coordinatore dei servizi museali della città di Torino, secondo il quale «la straordinaria qualità delle grandi e severe statue e della sala nel suo complesso non ne esce esaltata, com’era negli intenti dello scenografo che forse non è riuscito a cogliere, nonostante la sua bravura, oltre lo spirito dei luoghi, quello delle cose».

La questione, che ha investito anche lo spettacolare allestimento della recente mostra alla Venaria Reale «Egitto. Tesori sommersi» opera di Bob Wilson, non è da poco e riguarda tutti i musei. Come renderli più attraenti, mantenendo il rigore scientifico o esaltandone la presentazione con particolari scenografie? Gli addetti ai lavori sembrano generalmente d’accordo nell’accettare adattamenti scenografici, purché non superino certi limiti di scientificità. «Non sono contraria agli allestimenti scenografici, ma devono essere fatti con intelligenza e qualità, senza fuorviare il pubblico. Un esempio? Il Museo del Cinema alla Mole di Torino, molto bello - dice Mottola Molfino - chi va al museo, vuole vedere le opere, non essere soffocato dalle strutture fittizie dell’architetto».

«La spettacolarità non è, e non dovrebbe essere mai un fine ma solo un mezzo, per esaltare la qualità di un’opera, i valori di un oggetto, facilitare la comprensione dei messaggi» sostiene Jalla. La si può ottenere in molti modi, a volte basta un buon sistema di illuminazione, un intelligente uso dello spazio, la scelta accorta dei colori alle pareti, un sobrio design delle vetrine. Le sale recentemente riallestite delle collezioni egizie del Louvre dimostrano quanto la loro spettacolarità dipenda innanzi tutto dalle “cose” esposte e da un sistema di presentazione molto tradizionale, ma intelligente e di gusto».

Andrea Carandini, archeologo di fama e Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, spiega: «La necessità di presentare gli oggetti in modo attraente oggi esiste. I musei tradizionali andavano bene per il pubblico di prima, più colto, imbevuto di cultura classica, in grado di riconoscere termini latini e ricollegare gli oggetti ai contesti. Oggi il pubblico è cambiato: è più viziato, ma anche più ignorante. Non sa niente di antichità, medioevo, rinascimento, età moderna. Bisogna prenderne atto, e attrarlo sottolineando in qualche modo gli oggetti in modo che possano colpirlo. Naturalmente, entro certi limiti». Quali? «Da scegliere caso per caso».

Secondo Jalla la scenografia diventa essenziale per quei reperti importanti ma di difficile comunicazione, cimeli storici, ad esempio, raccolte etnografiche, oggetti di uso comune, che non riescono a suscitare interesse in chi li osserva. «Un bel museo è quello che permette a chi lo visita di capire cosa vede, di trarne emozioni e uscire stimolato a guardare il mondo e la vita in modo diverso. Il resto è cedimento a una società dello spettacolo, a cui i musei non solo non devono conformarsi, ma al contrario dovrebbero opporre altri modelli di visione della realtà, passata, presente o futura».
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