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Quando l'eredità è un mestiere

Passare il testimone è un'operazione complessa che ogni anno coinvolge 36mila aziende familiari italiane

Quando l'eredità è un mestiere

Dice il proverbio: i soldi non fanno la felicità. Diamolo per buono. Sicuramente il denaro può creare problemi, non solo se lo si porta a qualche banca del Veneto o dell'Etruria, o se lo s'investe in diamanti dal valore ballerino, ma soprattutto se ci si pone il problema del futuro. Del rendimento immediato, dei frutti da raccogliere nell'arco di qualche anno, ma anche di come preservare il patrimonio, l'azienda, il capitale realizzato. Come farlo crescere negli anni e come consegnarlo alle generazioni che verranno. E come educare i figli in modo da smentire un altro detto popolare di cui parecchia gente, suo malgrado, ha fatto esperienza: la prima generazione crea, la seconda mantiene, la terza distrugge.

Soltanto a un'occhiata superficiale può sembrare che allevare un figlio per prepararlo a ereditare bene sia una questione riguardante qualche privilegiato. Interessa certamente quel tipo di famiglie, che comunque non sono così poche: l'Aidaf (Associazione italiana delle aziende familiari, fondata nel 1997 da Alberto Falck), stima che le imprese familiari in Italia siano 784mila, l'85 per cento del totale delle aziende, il 60 per cento del mercato azionario italiano. Queste attività produttive assorbono il 70 per cento dell'occupazione nazionale, cioè circa 16 milioni di lavoratori: è anche affar loro che i Paperoni educhino i loro pargoli come si deve, garantendo continuità alle imprese.

Che possono essere grandi aziende, ma anche piccole e medie imprese, attività artigianali o studi professionali, messi in piedi da persone piene di iniziativa che sulla soglia dei 60 anni, dopo una vita passata a sgobbare, si chiedono che futuro dare alle loro creature.

I passaggi

Ogni anno sono 36mila le aziende italiane che passano da una generazione a quella successiva. In che mani finiscono? E soprattutto, come devono comportarsi i genitori per allenare un figlio ad amministrare un'eredità? Secondo un'inchiesta del Financial Times citata dal Sole 24 Ore, questa preoccupazione è perfino maggiore di come scegliere gli investimenti giusti o il profilo fiscale che consenta di pagare meno tasse. «Ed è giusto che sia così: un genitore deve porsi il problema, e meglio che se lo ponga presto», dice il professor Claudio Devecchi, amministratore unico e direttore scientifico del Cerif, il Centro di ricerche sulle imprese di famiglia dell'Università Cattolica di Milano.

Nella fase iniziale, secondo l'esperienza di Devecchi, ci si gioca metà delle possibilità di successo. La formazione dovrebbe avere tre passaggi: la laurea magari seguita da un master, un periodo all'estero (di studio, impiego o entrambi), un percorso di lavoro in un'altra impresa prima di entrare in quella di famiglia, da cui dovrebbero emergere le attitudini, le capacità e l'orientamento dei figli o dei nipoti. Il clima tra le mura domestiche dovrebbe essere di grande collaborazione: «È opportuno parlare molto, confrontarsi, non nascondere i problemi sotto il tappeto, fare partecipi tutti», spiega Devecchi. È molto importante che le scelte siano condivise e il dialogo all'interno del nucleo familiare è un fattore chiave.

In questi anni formativi anche il titolare del patrimonio compie un lavoro su di sé, molto complesso e tutt'altro che scontato: «Prima di tutto dice il professore - egli deve arrivare alla determinazione di lasciare. Moltissimi fondatori nutrono un attaccamento spasmodico verso la propria creatura, invece si devono preparare al distacco, anche con un supporto psicologico, se fosse il caso. Allo stesso tempo, devono essere certi che il successore designato è quello giusto. Questa chiarezza di giudizio si raggiunge responsabilizzando progressivamente l'erede. Un buon modo è quello di metterlo alla prova facendogli guidare un ramo dell'azienda o creando uno spin-off collaterale».

Il successore va poi introdotto gradualmente: tutti devono essere convinti che è lui quello giusto, non soltanto i familiari che dovranno dargli tutto l'appoggio possibile, ma anche gli altri soci, gli eventuali azionisti, gli interlocutori istituzionali come le banche, e poi clienti, fornitori, dipendenti: «I lavoratori sono giudici fenomenali - assicura Devecchi -. Se sei bravo, professionale, affidabile, i dipendenti ti cooptano e non c'è crisi di rigetto. A quel punto, il fondatore o titolare può lasciare». Anzi, deve farlo perché le mani sul volante devono essere due, non quattro, e al tempo stesso dev'essere pronto a rispondere se chiamato in causa. Ma soltanto in quel caso.

Mappare il talento

La programmazione tramite un «succession planning» è la via migliore anche per l'ingegner Guido Bressani, consulente della filiale italiana di Spencer Stuart, società presente in 30 Paesi specializzata in selezione di vertici aziendali e ottimizzazione di sistemi di governance. «La formazione professionale dopo quella accademica va fatta preferibilmente lontano dalla famiglia, fuori dalla comfort zone, in un'azienda dello stesso settore produttivo o assimilabile. Il cognome non deve comportare facilitazioni; il contesto non deve essere di agio. Qui bisogna testare l'indole e la capacità manageriale. Capire le attitudini dei giovani che si avviano a subentrare è decisivo».

Spencer Stuart è in grado di fornire una mappatura del talento, con una matrice che compara quello che potrebbero portare le nuove generazioni e ciò che offre il mercato. «È uno strumento importante a supporto della decisione spiega Bressani -. Si analizza il settore industriale di riferimento, si individuano le aziende che potrebbero fornire talenti, si identificano i valori culturali e manageriali ritenuti di successo e si calcola un punteggio fondato su indicatori concreti». L'importante è offrire gli elementi per capire se e quando è il momento di passare la mano: «La sfida più bella e difficile è proprio questa, cogliere l'attimo in cui il giovane alza la mano perché si sente ed è ritenuto pronto, indipendentemente dall'età di chi lo precede».

Jp Morgan Private Bank ha realizzato una guida per i suoi clienti, sia imprenditori sia titolari di grandi patrimoni. I punti sono quattro: spingere a familiarizzare fin da piccoli con il risparmio incoraggiando i giovani a mettere da parte soldi per obiettivi di lungo termine; metterli alla prova nel gestire il denaro, per esempio nel gestire le spese di una vacanza; raccontare da dove arrivano le fortune della famiglia, il patrimonio ma anche i valori morali a esso legati, la responsabilità sociale verso i lavoratori e la comunità, le doti di onestà e riservatezza. Infine, coinvolgere i figli in attività benefiche, introdurli a farsi consigliare da consulenti e accettare le responsabilità connesse alla ricchezza.

L'erede

«Il carattere e l'indole dell'erede devono avere un peso altissimo nella valutazione della successione», conferma Luigi Belluzzo, managing partner dello studio Belluzzo international partners, docente alla Bocconi e consulente per il family business: «Di solito le difficoltà maggiori riguardano il passaggio dalla prima alla seconda generazione, un momento carico di emotività perché non sono ancora state fissate le regole per la staffetta generazionale. Regole che devono diventare princìpi validi anche nel futuro».

Anche secondo l'esperienza di Belluzzo, la pianificazione è indispensabile: «È una responsabilità in capo alla generazione che si trova al comando. Bisogna guardare ben presto al futuro, non solo alla generazione dei figli, ma anche a quella dei nipoti, allargando lo sguardo perché in una famiglia qualcuno che si adagia c'è spesso. In una famiglia non vanno confusi i ruoli: tutti sono eredi, ma non a tutti si possono dare le leve del comando. Si può godere del patrimonio anche come amministratori o come soci.

E poi la governance del patrimonio va costruita con il supporto di un consulente, che abbia le competenze per scendere nei particolari, sappia scegliere le soluzioni migliori da adattare alla situazione concreta e costruire l'architettura patrimoniale sotto l'aspetto del diritto, del fisco, della finanza».

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