Cultura e Spettacoli

Quando la sinistra lo chiamava il «Commissario Finestra»

In «Morte accidentale di un anarchico» Dario Fo lo accusava della morte di Pinelli

Morte accidentale di un anarchico, il testo di Dario Fo dedicato alla morte di Giuseppe Pinelli, andò in scena per la prima volta il 5 dicembre 1970, a quasi un anno dalla morte dello stesso Pinelli, avvenuta il 15 dicembre dell'anno prima. Nella commedia, peraltro più volte rimaneggiata tra il 1970 e il 1973, il commissario Luigi Calabresi riecheggiava nel personaggio del Commissario sportivo (ma nel corso del testo viene chiamato con dei soprannomi inquietanti come «Commissario Cavalcioni» o «Commissario Finestra»).
A riassumere il giudizio della stampa di sinistra sul testo il titolo dell'Avanti! del 12 dicembre di quell'anno: «La morte "accidentale" di Pinelli vista dal popolo». Siglato c.f., l'articolo parlava di «pamphlet politico di indubbia efficacia, anche perché gli avvenimenti che portarono alla "morte accidentale" dell'anarchico milanese sono rivissuti attraverso l'ottica popolare: non vi è commozione, solo acre umorismo che permette di cogliere sino in fondo il significato di questa morte. Pur non privo di mende lo spettacolo di Fo merita di essere visto e apprezzato per la sua sincerità, per la sua immediatezza: ecco dunque un esempio di teatro politico in cui l'arte non è soffocata né dalle formulazioni dogmatiche né dalla propaganda».
Sempre in area socialista, il settimanale Mondo Nuovo affermava che a Fo «viene affidato il compito non di farsi portavoce di un giudizio, quanto piuttosto di provocare un processo di conoscenza e di presa di coscienza da parte dello spettatore».
Sull'Unità, Arturo Lazzari, sempre il 12 dicembre di quell'anno (in una recensione intitolata «Un matto scomodo per "defenestratori" e soci») spiegava che «il testo parla di avvenimenti a tutti assai noti, inventa i nomi dei protagonisti poliziotti in modo assai trasparente e non nomina mai il protagonista vero e proprio, l'anarchico "defenestrato" (...) Il tutto con l'aria più savia del mondo: passando anzi in mezzo a tante contraddizioni, a tante menzogne, a tante malvagità come una specie di supremo regolatore, come una specie di "coscienza" elementare ma astutissima che sa navigare nel mare della lotta di classe (...) Il commissario col maglione girocollo e il questore ex sorvegliante di confinati. I nomi reali è fin troppo facile metterceli».
Dal canto suo il settimanale del Pci Rinascita sottolineava che «ciò che viene fuori più chiaramente è il discorso più ampio sul piano politico, nei confronti dello "scandalo" come valvola di sicurezza dell'intero sistema borghese». Proprio quest'ultimo punto, però, a parere di Corrado Augias, era l'anello debole del testo: «Nell'ultima mezz'ora prevalgono quelle plumbee intenzioni predicatorie che sono anch'esse un aspetto, il meno tollerabile, della teatralità di Fo - scriveva sull'Espresso il 20 dicembre del '70 -. Anche la tesi dello spettacolo si appesantisce. Ricercare la verità anche a costo dello scandalo non è altro che un buon servizio reso al sistema che sa sfruttare anche gli scandali per rafforzarsi.

Argomento talmente tirato per i capelli che a volerlo prendere per buono potrebbe essere rivolto pari pari contro lo stesso spettacolo di Fo».

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