Cultura e Spettacoli

Quando sulla parete di casa riaffiora un affresco "raffaellita"

In un appartamento privato di Civitavecchia è stato rinvenuto un affresco di scuola raffaellita, fedele copia di uno dei capolavori delle Stanze vaticane. Domani nella cittadina laziale l'annuncio ufficiale del ritrovamento nel corso di un convegno

Quando sulla parete di casa riaffiora un affresco "raffaellita"

La prossima volta che qualcuno cambierà la carta da parati o la tinta delle pareti di casa gli verrà in mente quanto successo a una famiglia di Civitavecchia che si è trovata un affresco di scuola raffaellita tra le mura domestiche. Frutto di una scoperta casuale avvenuta quasi quarant'anni fa, il ritrovamento, per vicende che hanno dell'incredibile, è rimasto inedito e sarà annunciato ufficialmente domani 14 ottobre a Civitavecchia in un convegno della fondazione Cariciv al teatro Traiano organizzato nell'ambito delle celebrazioni per i cinquecento anni del forte michelangiolesco. La prima parte del dipinto emerso sulle pareti dell'abitazione di Civitavecchia era un frammento della scena della Stanza di Eliodoro nella quale i Santi Pietro e Paolo fermano Attila alle porte di Roma. L'immagine ritrovata è piena di lacune, ma il confronto con l'originale non lascia dubbi. Le figure e la loro posizione nel disegno sono le stesse, sebbene nella pittura di Civitavecchia le dimensioni sono ridotte di un terzo rispetto all'originale. Variazioni si notano anche nei colori mentre la differenza forse più evidente è nel modo in cui viene tratteggiato il volto dei due Santi, le cui teste, a Civitavecchia appaiono leggermente spostate e con profili più decisi. Un secondo frammento - l'unico oggi ancora accessibile, visto che tutti gli altri sono stati ricoperti nel corso del tempo da chi ha abitato la casa di Civitavecchia - riguarda invece la scena del Miracolo di Bolsena. Anche in questo caso la composizione delle figure è assolutamente uguale, sebbene sia evidente, la diversità della mano. «Quella di Civitavecchia - spiega l'esperta di Raffaello Nicole Dacos, convinta che le pitture ritrovate siano da attribuire all'incisore Ugo da Carpi - è una pittura nella quale c'è molta forza, ma non delicatezza». I tratti dei volti, fa notare la studiosa che negli ultimi anni ha impegnato molta della sua ricerca sulla cerchia di artisti che lavorava intorno a Raffaello, «sono disegnati con grande sicurezza, delineando i contorni con un tratto nero, spesso e vigoroso». A differenza di Raffaello, il pittore di Civitavecchia, «sembra rendere le figure in modo volutamente sommario: i movimenti delle teste sono girati più decisamente di fronte e di profilo che non quelli di Raffaello». Nello stesso modo, nota Dacos, l'artista di Civitavecchia cambia i drappeggi degli abiti e semplifica le architetture. Insomma: sembra lavorare in modo rapido, dice, «probabilmente a tempera, e affoga sempre le palpebre delle figure sotto una larga pennellata scura. E ancora, ci sono nella pittura di Civitavecchia, violenti contrasti di luci ed ombre, accentuati spesso dal tratteggio, «una tecnica insolita in pittura - dice Dacos - ma che ricorda quella spesso usata dagli incisori». Come appunto era Ugo da Carpi (1481-1532), arrivato a Roma in quegli anni e al quale Vasari attribuisce l'invenzione dei chiaroscuri (cioè delle xilografie a più legni). Diversi riscontri a sostegno di questa interpretazione, prosegue la studiosa si trovano confrontando il dipinto con opere note di Ugo da Carpi, come la «Fuga di Enea», datato 1518 o «La strage degli innocenti». Un terzo importante frammento di cui esiste testimonianza fotografica riguarda ancora il corteo papale nella scena di «Pietro e Paolo che fermano Attila» e, in particolare, la testa del papa: nel dipinto del Vaticano, il pontefice ha le fattezze di Leone X, nel frattempo era succeduto al defunto Giulio II. A Civitavecchia il volto appare diverso, così come leggermente diversa, colorita con oro secondo un procedimento arcaico, sembra la tiara che ha in testa. L'attribuzione delle pitture di Civitavecchia a un incisore non deve meravigliare, almeno secondo la studiosa. Prima di tutto perché la riproduzione di un intero ambiente del Vaticano «fenomeno assolutamente unico» si può capire più facilmente da parte di un artista che era solito lavorare sulle invenzioni degli altri. Questo però non significa, conclude, che fosse privo di originalità.

Tanto più che la tecnica xilografica con la traduzione delle composizioni in una gamma ristretta di colori »richiedeva una visione molto personale, di una straordinaria modernità».

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