Roma

Quando la vecchina abitava alla Padella

«Er giorno de Pasqua Bbefania... da noi s’aùsa a ffasse li rigali... Ma ppiù dde tutti s’aùsa a ffalli a li regazzini...». Così scriveva Giggi Zanazzo in Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma, nell’Ottocento, quando la tradizione regnava sovrana. Per tutto l’anno i genitori descrivevano ai figli l’attività della Befana: costruire giocattoli, spezzare carbone, cucinare dolciumi e ricucire vecchie calzette, assistita dai Befanotti, gnomi laboriosi e allegri. Poi nella «magica notte» inforcava la scopa e con il sacco colmo sulla spalla volava per distribuire doni ai bimbi che quella sera, dopo aver appeso le calze alla cappa del camino, dovevano coricarsi presto e lasciarle la ricotta perché la Befana era sdentata. Se poi qualcuno di loro si comportava peggio del solito i genitori minacciavano: «Basta, sciariparlamo a sta befana/ lo vederai che llettera je scrivo».
Dove fosse il paese della Befana era la domanda più frequente da parte dei più piccoli. Qualche genitore indicava la sua casetta in via della Padella al n° 2, in prossimità delle piazze di S. Eustachio e dei Caprettari, «indove... certi pupazzari - durante le feste natalizie - mettevano fòra certe befane accusì vvere e bbrutte che a mme, che ero allora ragazzino, me facevano ggelà de lo spavento». In effetti via della Padella fino ai primi del ’900 è esistita: andava da via Giulia al lungotevere Sangallo confluendo nell’omonima piazza anch’essa scomparsa per la costruzione del liceo Virgilio. Ma anche allora chi avesse cercato la Befana avrebbe provato una grande delusione. Nemmeno l’oste della «Locanda della padella» era in grado di fornire qualche indicazione. Quando nel 1872 i «casotti» di Sant’Eustachio vennero trasferiti a piazza Navona, la tradizione riferisce che la Befana traslocò «in splendida solitudine» sulla altana di palazzo Doria Pamphili che nell’immaginario collettivo divenne un luogo avvolto dal mistero.


Ed ecco il convulso risveglio dei più piccoli la mattina della Befana in un sonetto del Belli: «Ber vede è da per tutto sti fonghetti sti mammocci, sti furbi sciumachelli, fra ’na battajjeria de ggiucarelli zompettà come spiriti folletti!».

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