Cultura e Spettacoli

Quanto può fare paura l'amore assoluto di un padre per la figlia

Nella California hippie una ragazzina selvaggia e abusata cerca la libertà

Quanto può fare paura l'amore assoluto di un padre per la figlia

Mio assoluto amore può sembrare il titolo di un romanzo sentimentale. Ma è tutto il contrario. Sono le parole di Martin; e quando Martin le pronuncia mettono i brividi, perché sono rivolte a Julia, sua figlia. È soprannominata Turtle («tartaruga») e ha quattordici anni. A volte Martin la chiama «crocchetta», e anche quello è un nomignolo che fa accapponare la pelle, anziché suonare affettuoso, perché nel rapporto fra Martin e Turtle non c'è nulla di ciò che normalmente dovrebbe esserci fra un padre e una figlia. E neanche nulla di ciò che potrebbe sembrare eccezionale, in senso buono: c'è solo qualcosa di molto estremo, come l'«assoluto» di quell'amore, che non è solo l'amore di un genitore. È controllo, possesso, manipolazione, abuso. Martin adora davvero sua figlia: vive per lei, si alza ogni mattina per lei, pensa solamente a lei. Ma la stupra da quando è bambina, e la tiene prigioniera in una casa di legno, isolata sulle colline di Mendocino, costa settentrionale della California, circondata dai boschi e dagli animali. Turtle è cresciuta così: into the wild, selvaggia lei stessa, una dura vera. Turtle sa vagare nei boschi di notte, infilarsi nei torrenti, camminare nel fango e tra i rovi, riconoscere le erbe commestibili e quelle velenose, sa ammazzare e arrostire un coniglio sul ciglio della strada, ripararsi in un tronco, inseguire, fare perdere le sue tracce; sa farsi il bagno con accanto una vedova nera, osservare una tarantola e non averne paura, infilzare uno scorpione con un coltello e poi mangiarlo dopo avergli staccato la coda a morsi. Sa sparare come un cecchino: Martin l'ha addestrata come un soldato, ha la sua pistola preferita, una Sig Sauer, e poi ha il fucile, e poi il coltello del nonno (reduce della Corea e del Vietnam, vive in una roulotte vicino a loro). Ogni sera, ossessivamente, Turtle smonta le sue armi, le pulisce, le lubrifica: arriva a scuola con le dita che hanno l'odore del grasso, le unghie sporche di olio, addosso la puzza della fanghiglia dello Slaughterhouse Creek, il suo torrente. Ma ciò in cui Turtle sguazza davvero è il terrore. La paura in cui Martin l'ha intrappolata, e dalla quale non riesce a liberarsi.

Mio assoluto amore è la storia di questa prigionia non dorata e del tentativo di Turtle, un'eroina senza nemmeno un reggiseno (figuriamoci i vestiti carini) di liberarsi. È il romanzo d'esordio (che in Italia arriva per Rizzoli, pagg. 416, euro 20; in libreria da martedì) di Gabriel Tallent, americano, 30 anni, cresciuto a Mendocino con due madri perché i suoi genitori divorziarono quando lui aveva cinque anni e poi un giorno la madre Elizabeth (scrittrice) entrò in un negozio di antiquariato e si innamorò della proprietaria. Il mondo hippie/chic di Mendocino, che Tallent racconta così bene nel romanzo, è quello della sua infanzia. Nella quale ci sono state anche ore e ore nei boschi a caccia di salamandre e poi lungo le scogliere del Pacifico; e lunghe serate con le due donne a leggere Dickens e Conan Doyle. Tallent ha raccontato che per le sue avventure nella natura si portava dietro l'Iliade, pensando di far colpo sulle ragazze: come Jacob, il liceale di cui Turtle si innamora. E poi a un certo punto, verso i dodici anni, leggeva solo Platone e romanzi pulp: è così che ha iniziato a scrivere. Poi, all'università, in Oregon, ha cominciato il suo romanzo: ha impiegato otto anni, durante i quali ha lavorato soprattutto come cameriere, e ha fatto ricerche infinite sulle piante e sulle armi. Entrambe descritte nei minimi dettagli, come pure il dolore fisico, gli abusi, le ferite, la fatica: è questo realismo a impedire che la trama slitti sopra le righe, a rendere credibile una storia infernale.

Mio assoluto amore è stato definito il debutto dell'anno negli Stati Uniti; oltre che nella classifica dei bestseller del New York Times è finito nella lista dei libri più importanti del 2017 dello stesso NYT e del Washington Post. Gli elogi della critica sono molti e in cima c'è quello di Stephen King, secondo cui è «tra quei pochi libri che ricordiamo per sempre», insieme a Il buio oltre la siepe e Comma 22. Secondo King, Martin è «il più terrificante e credibile mostro umano» dai tempi di Harry Powell in La morte corre sul fiume. E Martin è davvero un mostro: un pazzo paranoico, un apocalittico che si prepara alla fine del mondo (forse perché è lui a desiderarla, come gli rinfaccia il padre, un altro psicopatico...), un maniaco che può tollerare tutto da sua figlia, tranne che si allontani da lui. Gli basta intravedere una scintilla diversa negli occhi di lei, o percepire una esitazione nel suo abbandono, perché non riesca a trattenere la violenza che si porta dentro. Quando le dice: «Tu sei mia», Turtle sa che lui è pronto a tutto perché sia così.

Fuggire, per lei, è la cosa più difficile. Fuggire è la sua rinascita, è risalire la discesa in una tenebra che non ha cuore: è sempre lì, esposta, come la marea che a un certo punto la sommerge, la trascina via, la lascia sperduta e sul filo della morte... Martin le ha raccontato che il mondo, là fuori, è male; e quello che non lo sembra, è menzogna. «L'umanità si sta suicidando - lentamente, rovinosamente, collettivamente caga nell'acqua dove fa il bagno». Perché? Perché nessuno è pronto a lottare davvero. Perché di fronte alla fine molti sarebbero disposti a mollare, a morire, pur di non dover soffrire e dare tutto senza sapere quale sarà l'esito. Questo è l'addestramento di Turtle. Poi Martin le ha ripetuto all'infinito: «Qualunque cosa ti manchi, qualunque cosa non sia riuscito a darti, sei sempre stata amata, profondamente, crocchetta, assolutamente». Fino al momento in cui Turtle non incontra Jacob, un suo coetaneo con una famiglia «normale» e che la adora, lei non immagina che ci sia qualcosa di insano in quell'amore assoluto. Si odia, quando sente che ci sono parti di lei che a Martin restano inaccessibili. Si odia, quando desidera Jacob.

La paura di cui è prigioniera - La prigioniera è il libro della Recherche che compare a un certo punto del romanzo - è la sua gabbia, e non c'è pistola o coltello o mira perfetta che basti a cancellarla, a darle la libertà. È Martin stesso a spiegarle che servono «spietatezza, coraggio e un unico scopo»: «La tua anima dovrà essere una cosa sola, assoluta, con la tua convinzione». È questa l'unica possibilità di sopravvivere, quando e se ci sarà. Turtle sa che, se riuscirà a cavarsela da sola, sarà solo grazie a ciò che quel suo padre mostruoso le ha insegnato.

Ed è questo, forse, l'unico atto d'amore di Martin.

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