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Quasi quasi mi faccio una bufala

Le false notizie non risparmiano nessuno: la politica, la salute, i giornali e persino il Vaticano. Ecco come riconoscerle

Quasi quasi mi faccio una bufala

«Suore multate per eccesso di velocità: Stavamo correndo dal Papa, siamo preoccupate per la salute del Santo Padre». Notizia divertente, che fa il giro del mondo. Peccato per un solo «trascurabile» dettaglio: è una bufala. Un esempio di falso. «Quando la notizia è apparentemente ideale sul piano dell'appeal giornalistico nessuno se la sente di rovinarla con una verifica che potrebbe rompere il giocattolo perfetto», spiega il professor Flavio Scardo, docente di Tecnica della comunicazione. Stessa sorte per la vicenda della donna incinta che aveva perso il bambino per lo choc del naufragio della Costa Concordia. Una «storia tragica» riferita ai media da Giacinto Canzona, avvocato. Anche qui sarebbe bastato digitare su Google «avvocato Giacinto Canzona» per ricevere la seguente, illuminante, definizione: «Presunto avvocato specializzato nell'elaborazione di notizie false».

ATTENZIONE AL «LO»

Cosa si può fare per evitare la trappola delle «fake news»? Come scoprire i colpevoli? Come difendersi? La prima mossa è propria «partire da Internet, cioè esattamente da quella stessa rete dove più spesso rischiamo di rimanere impigliati all'amo dei tanti propalatori di bugie.

Parola d'ordine? Diffidare sempre e comunque. Altra tipologia di bufala: quella, cosiddetta, da «falsa testata». La notizia (si fa per dire) è la seguente: «La Germania ha appena approvato il matrimonio con i minorenni». Tutto lo avvalora: si parte dall'«Anza», poi si trova conferma su «Il giomale» e pure su «Il messagero» e «Il Fattonequotidiano». Ma ecco spuntare l'inghippo. A rivelarlo è il professor Fiorenzo Caterini - tra i più implacabili «cacciatori di bufale» internettiane - che ha scoperto che molti finti scoop viaggiano principalmente su siti che riecheggiano i nomi di veri organi di informazione (nell'esempio sopracitato si gioca sull'equivoco con «Ansa», «Il Giornale», «Il Messaggero» e «Il Fatto Quotidiano»), speculando sulla distrazione dei web lettori che, nella fretta, non si accorgono della leggera storpiatura del vero nome della testata. Altra «dritta» preziosa: evitare «estensioni» strane, diffidando di siti che terminano con «lo», come «Newslo» dove (magari a scopo di satira) si mischiano informazioni accurate con notizie false. Inoltre è bene stare alla larga da siti che hanno come appendici anomalie quali «.com.co» e dietro cui si possono celare versioni «pirata» di siti che sono legittimi.

OCCHIO AI CONTROLLORI

Ma i lettori più giudiziosi come possono distinguere il vero dal falso? «Per prima cosa - spiega Caterini, autore di un decalogo che si propone di smascherare i reporter imbroglioni - bisogna controllare la fonte. Poi va verificata la data. Spesso le bufale sono notizie vecchie riciclate e spacciate per nuove. Diffidare inoltre dalle notizie troppo eclatanti. Più è forte la carica emotiva, più rischi si corrono». Altri trucchi? «Fare un giro sui principali motori di ricerca e controllare se la notizia risulta anche su altri siti».

Insomma, dubitare è d'obbligo. Ma a conferma che andrebbe preso con le molle anche chi ci consiglia di prendere con le molle tutto e tutti, ecco l'opinabilissimo punto 4 del vademecum di Caterini: «Se la notizia riguarda le malefatte di zingari o immigrati, non ponetevi il dubbio. È praticamente certo che si tratta di una patacca. Nove volte su dieci è falsa, e la rimanente è esagerata o manipolata». Una tesi decisamente stravagante, ma che Caterini difende con forza: «Il fatto è che molti siti internet fanno parecchia propaganda su questi temi, sia per ragioni politiche, sia per guadagnare soldi, perché è un argomento che purtroppo attrae molto le persone». Ad attrarre, negli ultimi tempi, è anche la caccia esasperata alle notizie che, pur essendo vere, vengono bollate come fasulle: un trend alimentato da una selva di siti, presunti cacciatori di bufale, che a volte si rivelano essi stessi dei bluff; in altre parole può accadere che i «controllori» siano, qualitativamente, al di sotto dei giornalisti che essi vorrebbero controllare: un corto circuito che serve soltanto ad aumentare la confusione che è già tantissima. Un esempio: la notizia che «una famiglia italiana si è spacciata per rom allo scopo di ottenere un sussidio dal Comune» è verissima, ma molti siti antibufale l'hanno etichetta come falsa. Ma torniamo alla campagna di legittima difesa e alla tecno-menzogna mediatica. A tal proposito è emblematico lo studio di BuzzFeed (sito dalla serietà acclarata) condotto nel corso della campagna elettorale per la corsa alla Casa Bianca: su Facebook sono state ben 20 le false storie «top-performing» (cioè quelle più cliccate e riprese dai maggiori organi di stampa) che hanno surclassato nell'indice di gradimento altrettante storie basate su fatti realmente accaduti.

UFFICIO QUALITÀ

Uno scenario che ha spinto le maggiori piattaforme social a varare una forma di autoregolamentazione anti-bufale, istituendo degli appositi staff specializzati nel «controllo veridicità» delle notizie: una sorta di ufficio-qualità che però, considerata la mole del flusso informativo, è in grado effettivamente di controllare non più dell'1% delle news. Un senso di impotenza che ha spinto Mark Zuckerberg quasi a una dichiarazione di resa: «L'impegno per fermare il diffondersi della disinformazione non può ricadere solo su di noi, ma deve essere a carico anche dei lettori che postano articoli falsi». In Italia la Presidenza della Camera ha varato una guida per impedire la diffusione di notizie false. I suggerimenti non sono complessi, ma semplicemente di buon senso. Innanzitutto impariamo ad «andare oltre il titolo». Il motivo? «In alcuni casi spulciando l'articolo ci si rende conto che la storia raccontata non ha niente a che vedere con il titolo». Fondamentale chiedersi sempre: «chi è l'autore?». «Tale ricerca - sottolineano gli esperti - può svelare tantissime informazioni sulla fonte. Rovistando tra i precedenti articoli di quell'autore è possibile scoprire se si tratta di un giornalista valido oppure di un ciarlatano». Mai dimenticare, ovviamente, di controllate i link e le fonti utilizzate: «La loro mancanza indica in maniera lampante che il post è probabilmente falso». Inoltre non trascurare di prestare attenzione a citazioni e foto discutibili: «È estremamente semplice per gli autori di bufale inventarsi citazioni false, e perfino attribuirle a figure di spicco». Dopo le elezioni americane e la vittoria di Donald Trump, il dibattito sul «debunking» (la tecnica con cui si cerca di sbugiardare i bugiardi) si è intensificato. Le false notizie sui social (celebre quella secondo cui «Papa Francesco è segretamente un sostenitore di Trump») sono trattate oggi alla stregua di una minaccia contro la democrazia. Molti americani sono ancora convinti che grazie alle bufale, diventate virali su Facebook, il tycoon abbia vinto le presidenziali.

PERICOLI PER LA SALUTE

Non è un caso che la nuova parola di questo 2016, appena aggiunta al dizionario Oxford, sia «post-truth»: una «post verità» che inganna fino a che non si dimostra una falsità. E a cascarci possono essere tutti, compresi i «millennials», considerati i genietti della Rete. Melissa Zimdars, professoressa di Comunicazione e Media al Merrimack College in Massachusetts ha compilato una lista contenente i siti ad alto rischio-fandonie. Il primo consiglio della professoressa Zimdars? «Fare gli spioni. Se un sito vi insospettisce andate a leggere la sezione about us o controllate se esiste su Wikipedia o se viene menzionato in altri contesti». La stessa idea è venuta anche a un gruppo di esperti di Perugia che ha ideato la startup Polygree, per «segnalare eventuali fandonie e chiederne la verifica». Il modello di riferimento è quello «made in Usa» dove esistono piattaforme (FactCheck.org, Snopes.com, Politifact.com) che danno i voti agli articoli in base all'accuratezza dei contenuti e dei discorsi. In Gran Bretagna, invece, c'è la «charity Full Fact» che ha appena ricevuto da Google 50.000 euro di finanziamenti: grazie ai suoi ricercatori verifica notizie, articoli e dati. Proprio nei giorni scorsi un giro di vite è arrivato anche da Twitter, con la compagnia che ha annunciato «nuove e stringenti misure di sicurezza per rendere più affidabile il servizio offerto agli utenti». Particolarmente insidiose sono le bufale in campo sanitario. Basti pensare ai danni procurati di recente dalle sciocchezze raccontate su meningite e vaccini. Anche per questo la Ibsa Foundation for scientific research ha redatto un decalogo anti bufale che aiuta i cittadini a difendersi dalle insidie della rete e non solo. Tra i punti più importanti, il numero 2, riferito a «Forum e blog», che recita testualmente: «Il dibattito virtuale in cui si raccontano esperienze personali risulta particolarmente insidioso perché suscita empatia ma non è detto abbia affidabilità scientifica».

E, quando è in ballo la salute, certe bufale, più che indigeste, si rivelano velenose.

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