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Quei poster flop e la "manifesta" incapacità del Pd

Quei poster flop e la "manifesta" incapacità del Pd

Quei poster flop  e la "manifesta"  incapacità del Pd

Se esiste in paradiso un santo protettore della comunicazione politica, deve avere un conto aperto con Pier Luigi Bersani. Da quando c’è lui alla guida del Partito democratico, non c’è campagna e non c’è manifesto che non susciti polemiche, prese in giro e risate di scherno. L’ultimo episodio è grottesco: la nuova campagna per il tesseramento è stata colpita e affondata dal fuoco amico prima ancora di prendere il largo.

Tutto comincia una decina di giorni fa con la comparsa sui muri di Roma e di altre grandi città di una serie di manifesti colorati che riportano, dentro un fumetto, una domanda secca: «Conosci Faruk?», «Conosci Eva?», «Conosci Serena?» e così via. I manifesti sono anonimi, e rimandano a un gruppo di Facebook. L’idea è suscitare curiosità innescando quella che in gergo si chiama «campagna virale». Ma il risultato è un disastro. Al gruppo di Facebook s’iscrivono appena in 400, si scopre subito che dietro c’è il Pd, i manifesti anziché incuriosire irritano, e, come se non bastasse, una giovane dirigente laziale del partito denuncia pubblicamente che quei manifesti sono abusivi: «È incredibile - dichiara Cristiana Alicata a Repubblica - che un partito come il nostro che vuol essere trasparente, per la legalità e contro l’evasione faccia i manifesti abusivi, senza pagare la tassa comunale». Anche se in Comune c’è Alemanno, verrebbe da aggiungere.

Fatto sta che la pre-campagna è implosa, e sul web si sono moltiplicate le prese in giro e le parodie. C’è per esempio una foto del golfo di Napoli con la domanda: «Conosci Bassolino?», o una di piazza Duomo con il fumetto: «Conosci Penati?», o un’altra ancora con il Colosseo e l’inevitabile «Conosci Marrazzo?». Secondo Stefano Di Traglia, che del Pd è il responsabile della comunicazione, «se se ne parla, è segno che abbiamo centrato l’obiettivo». Ma parlar male di un prodotto (ammesso che le tessere di un partito si vendano come le merendine o i detersivi per lavastoviglie) non è esattamente la stessa cosa che parlarne bene. E una campagna fallita resta senz’altro nella memoria del pubblico, ma chi l’ha commissionata vorrebbe cancellarla.

Ieri ha debuttato la campagna «ufficiale», con il simbolo del Pd bene in vista, lo slogan «Ti presento i miei», e la foto con didascalia di una persona che si vorrebbe normale: «Serena, 36 anni, mamma. Tosca è la sua opera preferita», oppure: «Faruk, 45 anni, gastronomo. L’approfondimento politico è la sua passione». Pensare che Tosca - opera in sé sublime - o «l’approfondimento politico» siano le passioni prevalenti degli italiani «normali», la dice lunga sulla sconnessione profonda fra il Pd e la realtà.

Come sempre accade in Rete, dove la comunicazione è un gioco quotidiano e non un’esercitazione accademica o il disperato tentativo di farsi notare, l’ironia seppellisce ogni tentativo di prendere sul serio la campagna: «Cos’è ’sta roba? Il tesseramento della Standa?», si chiede un militante su Facebook. E un altro: «Faruk gastronomo? Non è che ha un kebab?». E un terzo: «Ma neanche un laureato in Scienze delle comunicazioni c’avete?».

Il tonfo della campagna per il tesseramento è soltanto l’ultimo di una lunga serie di episodi che hanno costellato la segreteria Bersani. A giugno il Pd romano aveva scatenato un vespaio fra le compagne di tutta Italia per un manifesto sbarazzino che ritraeva le cosce di una ragazza che a stento trattiene la minigonna sollevata dal vento. «Cambia il vento» era, per l’appunto, lo slogan. Il fatto è che il vento era cambiato davvero, e la campagna moralista e sessuofobica scatenata dalle donne di «Se non ora quando?» per colpire il Cavaliere aveva investito come un treno ad alta velocità gli ignari democrat romani, che pensavano di citare Marilyn e si son ritrovati colpevoli di fare il verso a Ruby. Il manifesto fu ritirato con tante scuse.

Prima ancora, in aprile, una campagna milionaria con Bersani in bianco e nero e maniche di camicia appeso su tutti i muri, gli autobus e i treni d’Italia suscitò ironie e derisioni a bizzeffe. «Oltre» era lo slogan, e anche in quel caso le parodie si sprecarono: «Oltre Tex Willer c’è Dylan Dog», o anche, più seccamente, «Oltre il Pd». «Sono pazzi - commentò allora Oliviero Toscani -. Hanno fatto una campagna epitaffica, in bianco e nero, tombale: più che Oltre, direi Oltre-tomba. Il Pd così è morto, e Bersani è il Caro Estinto».


Il Pd invece è vivo, e continua la sua eroica lotta contro la comunicazione.

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