Quei preti di strada vittime del loro coraggio

Non passa ormai giorno senza che qualche quotidiano sbatta un prete accusato di abusi sessuali in prima pagina. Don Gelmini è il nome più illustre. Torino sembra la città più colpita, ma non è certo l’unica.
Qualche anno fa i sociologi della religione prevedevano nelle società industriali avanzate una progressiva scomparsa della religione, cui sarebbe rimasto il compito - rifiutato da tutte le altre agenzie sociali - di occuparsi dei soggetti marginali «lasciati indietro» dall’economia globalizzata. Che la religione stesse per sparire, come oggi sappiamo, non era vero. Ma i teorici della secolarizzazione avevano in gran parte ragione - non totalmente, perché ci sono anche benemeriti volontari non religiosi - quando sostenevano che sarebbe arrivato il giorno in cui di questo nuovo sottoproletariato si sarebbero occupate «quasi» solo le istituzioni religiose. In Italia a raccogliere drogati, piccoli delinquenti e ragazzini che fanno commercio del loro corpo in strade come via Cavalli a Torino si trovano in effetti quasi solo preti, suore e volontari cattolici. Chi conosce veramente questo mondo non si fa nessuna illusione. I giovani che delinquono e si prostituiscono non sono tutti ansiosi di convertirsi. Il presidente di una delle più importanti associazioni di volontariato italiano mi raccontava che i minorenni drogati che raccoglie e porta a casa tutte le sere in maggioranza lo ringraziano scappando al mattino e portando via tutto quello che sono riusciti a rubare.
Eppure centinaia di volontari cattolici continuano a raccogliere baby delinquenti, certo dopo avere preso qualche ragionevole precauzione: perché questo insegna il Vangelo, e perché ogni tanto qualcuno per davvero si salva. Ma tutto è tremendamente difficile, specie quando entra in gioco la droga, le cui vittime non solo diventano bugiardi patologici ma sono disposte a qualunque cosa per i soldi necessari a procurarsi una dose. I drogati e altri marginali chiedono, continuamente e senza ritegno.
Quando non ottengono minacciano, pronti a mordere la mano che li ha nutriti, o ricattano. Oggi hanno capito che ricattare con la minaccia di accusare i loro benefattori di avances sessuali funziona. Certo, il ricatto riesce perché fra tanti sacerdoti e volontari eroici c’è davvero qualche pecora nera. Ma riesce oggi più di ieri perché - suggestionati dall’esempio americano - molti avvocati, giornalisti e giudici, spesso già maldisposti verso la religione, si lanciano su ogni caso di questo genere come squali. Il rischio è che, come sta avvenendo in qualche diocesi americana, sacerdoti e suore finiscano per rinunciare alla dura missione di andare a cercare e accogliere drogati e marginali minorenni, perché troppo forte è il rischio che a qualcuno di questi piccoli delinquenti venga in mente di tentare un ricatto basato su fantasie di abusi sessuali. Si dirà che alcuni accusati sono forse colpevoli. È vero: ma la dinamica sociale da cui nascono questi ricatti dovrebbe indurre giornalisti e giudici a usare particolare cautela e riservatezza.

Quando invece per ragioni ideologiche si aprono stagioni di caccia al prete si rischia che un enorme patrimonio di carità e di solidarietà vada perduto.

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