Cultura e Spettacoli

Quel che odio del cinema

Cinquanta critici fanno la classifica delle "cose" insopportabili dei film: la parola amore nei titoli, il romanesco al Nord, la Chiatti ovunque. Sul mensile Ciak un divertente atto d’accusa

Quel che odio del cinema

Roma - Ce n'è per tutti, pure per i più vezzeggiati. Attrici come Margherita Buy, Laura Chiatti e Giovanna Mezzogiorno, attori come Sergio Castellitto, Elio Germano e Giuseppe Battiston, registi come Gabriele Salvatores, Ferzan Ozpetek e Nanni Moretti. E poi: gli intrecci delle storie, le ambientazioni, il romanesco invadente, le scenografie «due camere e cucina», la parola «Amore» nei titoli, le tipologie umane e professionali, i tic parapolitici, «la storia sociale del nostro Paese raccontata alla maniera di Rulli e Petraglia», i frigoriferi sempre vuoti, gli occhi bistrati di Nicolas Vaporids, il Nord-Est visto come un luogo d'inferno dove i ricchi si ingrassano, i poveri diventano razzisti e gli immigrati sono sempre buoni, colti e gentili...

Chiamatelo, se volete, tiro al piccione, ovvero al cinema italiano. E tuttavia, al di là del giochetto spiritoso in forma di sfogatoio, il sondaggio del mensile Ciak - intitolato «Ecco cosa non sopportiamo più nei film italiani» - custodisce qualche piccola verità, meno umorale di quanto potrebbe sembrare. Cinquanta i critici, di ogni gusto e tendenza, carta stampata e televisione, giovani e anziani, cattivelli e accomodati, chiamati ad esprimersi da Piera Detassis (qui sotto pubblichiamo il «j'accuse» di alcuni di essi). C'è chi manda appena tre righe, chi si avventura in dettagliati elenchi, magari sputando quel po' di veleno che nell'esercizio della funzione critica non sta bene tirar fuori. Se poi, a ruoli rovesciati, cineasti, attori e attrici vorranno fare lo stesso nei nostri confronti, be' bisognerà starci. Ma intanto gli «imputati» di oggi dovrebbero non fare spallucce. Troppo semplice dare sempre e solo la colpa al «Sistema»: che siano il duopolio Raicinema-Medusa, la censura di mercato, i multiplex che uccidono le vecchie sale cittadine, Tremonti che taglia i finanziamenti, eccetera. Mai che i registi ammettano: «Vero, ho sbagliato il film, ho raccontato una storia che non interessa a nessuno».
Intanto - sono dati recenti - si scopre che nei primi sei mesi del 2009, rispetto allo stesso periodo 2008, la quota di mercato rappresentata dal cinema italiano è scesa di oltre 8 punti, attestandosi al 24,2 per cento, per un totale di 12,1 milioni di biglietti (contro i 16,7 dell'altro semestre).

I critici, si sa, contano poco, ma se anche il pubblico diventa insofferente allora sono guai.

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