Politica

Quel falso buonismo giocato sulla pelle dei bambini

Polemica a Roma, l’assessore capitolino Marsilio: "I figli degli immigrati nati qui sono stranieri". La sinistra insorge e fa la solita demagogia

Il tema dell’immigrazione e della cittadinanza agli stranieri continua a suscitare polemiche e tempeste di carta dibattiti spesso inutili e fuorvianti. Ieri l’assessore alla scuola del comune di Roma, Laura Marsilio, visitando una scuola in cui è alta la presenza dei bambini stranieri ha dichiarato: «Anche se questi bambini sono nati in Italia, è sbagliato considerarli non stranieri. Non è solo un fatto anagrafico, è una questione culturale. È bene che questi bambini possano convivere con quelli di origine italiana perché così si favorisce un sentimento di appartenenza». La Marsilio ha anche detto che è sbagliato pretendere istituti separati riservati solo agli stranieri. La preside di un istituto che comprende alunni di diverse etnie si è detta sostanzialmente d’accordo con l’assessore. Ma l’opposizione è insorta, in nome del «politicamente corretto» e della solidarietà retorica che ignora storia, bisogni, necessità. Una strumentalizzazione, insomma, di fronte alla quale il sindaco Alemanno ha fatto il pesce in barile affermando che l’assessore Marsilio si è «espressa male» e che «sarebbe sbagliato definire stranieri i figli di immigrati nati in Italia».
Ci risiamo, risuonano le accuse di razzismo per chi ribadisce verità elementari, l’attacco propagandistico sovrasta la realtà della questione. È una vecchia querelle: alcuni Paesi europei seguono il cosiddetto «diritto del suolo» in base al quale appartiene allo Stato in cui ha visto la luce il nuovo nato. Altre società fra cui l’Italia seguono il «diritto del sangue» secondo cui il figlio di stranieri è straniero, fino a quando non matura il diritto alla cittadinanza. La seconda teoria è più rispettosa dell’identità delle persone che non sono quadrupedi da incorporare immediatamente nelle stalle del re.
Possono considerarsi italiani bambini che quasi sempre succhiano la cultura della famiglia d’origine rifiutando ogni avvicinamento ai princìpi della società che li ha accolti?
Pensiamo ai bambini che vivono in veri e propri ghetti culturali con regole di costume che non accettano i temi ispiratori della nostra società. Per chi viene da lontano, anche se è nato qui l’italianità non è un fatto anagrafico, è una partecipazione civile e morale che matura negli anni. Pensiamo all’esperienza inglese: cittadini di sua maestà si sono rivelati più stranieri degli afghani tribali pur essendo nati e cresciuti a Londonistan in famiglie di cittadini formalmente inglesi. Basta nascere in un ospedale di Roma o Milano per acquisire la cittadinanza italiana? Non è più giusto pretendere che questi ospiti respirino almeno lingua e cultura di questo Paese slabbrato? Non pretendiamo che gli antenati dei nuovi cittadini italiani abbiano combattuto a Magenta o sul Carso. Ci accontentiamo che abbiano un’idea almeno della loro nuova Patria senza chiudersi sdegnosamente nel rispetto di tradizioni che non ci appartengono. Laura Marsilio ha detto chiara e forte una verità.

Che a certi politici non piace, ma resta comunque una verità testimoniata dalle attuali condizioni del Paese.

Commenti