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«Quel gol? Nulla di speciale, fa parte del gioco»

Non arriva a 170 centimetri, è argentino, gioca nel Barcellona e fa gol scartando il mondo in 50 metri. Per fare di Lionel Andrès Messi il discendente naturale di Diego Maradona mancava un particolare. Non potendo ancora essere la coppa del mondo, la Pulce ha scelto il metodo più furbo e sbrigativo: fare un gol di mano. Ma non uno qualsiasi. No, uno uguale identico al padre di tutti i gol da fuorilegge: Maradona contro l’Inghilterra, mondiali dell’86. Sì, quello della «mano de Dios». Non ha dato la vittoria al Barcellona, e nemmeno il titolo nella Liga, ma l’han visto tutti tranne l’arbitro. E così Leo Messi ha fatto un altro passo verso il Mito. Tra tredici giorni girerà la boa dei 20 anni, per ora ha vinto due campionati, una coppa dei campioni con la maglia blaugrana. Con l’Argentina è stato campione mondiale under 20. Proprio come Maradona, che a quell’età altro non aveva vinto.
Conti della serva, bar sport e statistiche non vanno d’accordo. In fondo le storie dei due sono troppo simili per non essere affiancate. Li divide la partenza, Diego è cresciuto nella povertà di Lanus, sobborgo di Buenos Aires; Messi a Rosario e basta vedere le due case di famiglia per capire molte cose. Lionel andò in campo per la prima volta a cinque anni, di lui non girano i filmati come per Diego che palleggiava nell’intervallo delle Cebollitas, ma bastano i ricordi del suo scopritore, Salvador Ricardo Aparicio, per colorare la storia: «Mi mancava un ragazzino per completare la squadra, guardai sulle tribune e vidi un piccoletto figlio di una mia amica che continuava a calciare il pallone contro un muro. Non mi sembrava male. Lo misi in difesa, vicino alla rete così se si fosse messo a piangere avrebbe avuto vicino la sua mamma». Da quel momento la Pulga, appunto la Pulce, non ha mai smesso di giocare col pallone. Lo prese il Newell’s Old Boys, gli mise gli occhi addosso il River ma l’economia argentina era una scatola vuota, i pesos carta straccia. In più Lionel aveva un problema di crescita ossea, causato da una carenza ormonale. Curarlo costava più di 500 dollari al mese. Briciole per il Barcellona che aveva già puntato Messi. Nel 2000 il trasferimento in Spagna con tutta la famiglia: l’hanno curato, allevato e maneggiato con cura. Come un cristallo di Boemia. Rimasto fuori tre mesi nel cuore della stagione per infortunio, una sera di coppa del Re contro il Getafe decise che era il momento di tornare a stupire: 13 tocchi, sei avversari bruciati in 57 metri. Come Diego. Sempre nell’86 e sempre contro l’Inghilterra. «Il mio però è stato più bello», disse el Pibe, ma in fondo si può capire. Sabato sera, il bis. Reazioni della Pulce? «Il gol di mano? Normale. Come tanti altri. E quindi da festeggiare con allegria. Anche se poi non ci ha nemmeno fatto vincere. Maradona? È unico, non intendo emularlo». I giornali argentini hanno fatto festa. Solo il quotidiano sportivo Olè ha minimizzato: «Più che Diego è Manu». Manu è Ginobili, campione olimpico di basket con l’Argentina, uno abituato a usare le mani. Sui blog spagnoli si becca una serie di insulti, tramposo (imbroglione) il più morbido, ma fa parte del gioco. E lui sembra starci. Con il Barcellona ha un contratto fino al 2010, in gennaio Moratti chiese informazioni su Messi. Sette milioni all’anno per cinque campionati, era la sua offerta.

Sentita la clausola di rescissione, 150 milioni, tornò a Milano e decise di fare due chiacchiere con Recoba.

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