Politica

Quel partito? Falso d’autore

La crisi del Partito democratico è ormai al limite dell’implosione. La vicenda Villari e più ancora il «pronunciamento» di Rutelli a non essere disponibile all’ingresso nel gruppo del Partito socialista al Parlamento di Strasburgo a sei mesi di distanza dalle elezioni europee ci dicono tutto il dramma di una crisi politica profonda. I lettori sanno come più volte abbiamo definito il nascente Partito democratico come una sorta di organismo geneticamente mutato senza alcuna intenzione di voler offendere chicchessia ma forti come siamo di una convinzione antica e cioè che le storie politiche non si inventano.
Una crisi quella di oggi, dunque, largamente prevedibile e di tipo esistenziale perché, come abbiamo più volte detto, la politica si vendica di chi l’offende. E fu una continua offesa quella avvenuta negli anni Novanta con la nascita della nuova Disneyland della politica italiana, dall’Asinello alla Margherita per finire all’Ulivo nomi che negavano le radici culturali di ciascuno senza ancora aver costruito qualcosa di nuovo e di diverso. A questa costruzione negativista di ciò che si era contribuirono in maniera determinante un gruppo di intellettuali ex comunisti o liberal di sinistra, alcuni in buona fede nella speranza di un ipotetico partito liberale di massa inesistente in tutta Europa, altri perché passati al servizio di nuovi padroni che con la politica non avevano nulla a che fare e che erano nel cuore di quell’intreccio finanza-informazione di cui più volte abbiamo parlato.
Molti tra questi intellettuali erano i più agguerriti negli anni Settanta e Ottanta a spiegarci che il mondo andava in tutt’altra direzione da quella che sancì poi la vittoria del cattolicesimo politico e del socialismo riformista d’intesa con i repubblicani di La Malfa ed i liberali di Malagodi. E spiace vedere che un intellettuale del calibro di Edmondo Berselli nel suo dissacrante e per molti aspetti veritiero ultimo libro non coglie gli aspetti politici di fondo della crisi della sinistra italiana. A Berselli vorremmo chiedere se davvero crede che una forza politica possa privarsi di una cultura di riferimento affidandosi esclusivamente ad un programmismo da centro studi come è avvenuto negli ultimi anni.
È fin troppo facile ricordare che il successo di Barack Obama è frutto certo di nuovi contenuti programmatici il cui valore è quello di essere stati inseriti in un progetto politico che ha il soffio vitale di una precisa identità culturale. Obama, però, è dentro fino al collo nella cultura politica dei democratici americani che hanno dietro le spalle quasi due secoli di battaglie di libertà, un pensiero politico, economico e costituzionale dibattuto e condiviso nelle centinaia di università e che sono insomma lo specchio di un pezzo di storia di un Paese che non è il nostro. E così è per Tony Blair che pur avendo innovato i contenuti della politica del suo partito non ha mai smesso di chiamarsi laburista e così ancora per tutti i leader politici europei. E davvero Berselli crede, invece, che il Santo Graal della politica italiana sia l’anonimato culturale e un liberismo straripante? Se il centrodestra non è nella stessa crisi della sinistra è solo perché il carisma di Silvio Berlusconi ne garantisce la tenuta politica offrendo all’elettorato un senso di appartenenza e ai suoi gruppi dirigenti la calma necessaria per porre mano, attraverso il neonato Partito della libertà, a un nuovo profilo identitario.
Il Partito democratico, invece, è così castrato culturalmente da non volersi neanche definire un partito di sinistra e inevitabilmente finisce per rincorrere modelli istituzionali e di partito uguali a quelli introdotti nella società italiana da Silvio Berlusconi senza averne le stesse qualità liberistiche. E i falsi d’autore, come si sa, sono buoni solo per i mercatini.

Una società moderna ha bisogno come il pane di una forza di opposizione dal profilo identitario, certo è comprensibile perché concorre con il partito di maggioranza a tenere i fili di una coesione sociale essenziale per ogni democrazia che si rispetti.

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